L’Adriatica si gioca il futuro tra i Balcani e la Via della Seta

Il nuovo, colossale progetto cinese di una piattaforma infrastrutturale lanciata da Oriente a Occidente rivaluta il ruolo dei porti italiani

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Ci sono le trasformazioni di ieri che hanno visto lo spopolamento della montagna, l’urbanizzazione della costa e gli svariati disastri che ha lasciato dietro di sé, città come Rimini che hanno attirato nuovi residenti più d’ogni altra, l’Abruzzo che a sorpresa è uscito dall’obiettivo 1 simbolo delle aree depresse. E poi c’è l’agenda dell’oggi con un’autostrada, la A14, che nel percorso da Bologna a Taranto grazie ai dati del traffico dei Tir ci racconta le differenze di risposta che i vari segmenti della dorsale adriatica hanno saputo dare alla crisi. C’è, stavolta in prospettiva, un dialogo da aprire da Ovest guardando ad Est, tra le imprese più strutturate dell’Emilia-Romagna, delle Marche e dell’Abruzzo con l’entroterra balcanico per costruire con Paesi come la Croazia, la Serbia, l’Albania e le altre repubbliche relazioni forti come quelle che i tedeschi sanno tessere. C’è poi, per concludere questa rapida rassegna, la suggestione della Via della Seta con i cinesi che premono per arrivare in Europa e per costruire dopo lo storico ingresso nel Wto la seconda fase della loro globalizzazione. La sintesi tra tutte queste tendenze è difficile e anche in questo caso – come abbiamo visto per il ricco Nord – i circuiti amministrativi e associativi mostrano tutte le loro lacune e frammentazioni. E così si rischia di vagabondare tra nostalgie e sogni, tra un passato che non può essere archiviato, un post-terremoto che condiziona il presente e un futuro indefinito. Con l’aggravante che ogni protagonista conosce un pezzo della storia, non l’insieme. Gli anglosassoni direbbero che abbiamo un deficit di governance: è evidente la sfasatura tra la forza dell’economia dei flussi e la lentezza dei «tavoli» o delle cabine di regia.

Quel 20% di imprese

Cominciamo dalle imprese. Valeriano Balloni, economista e vicepresidente dell’Istao, sta lavorando proprio in questi giorni a un rapporto su quelli che chiama specialized supplier, fornitori specializzati. Imprese che hanno saputo inserirsi da protagonisti nelle catene del valore internazionale tanto da diventare «interlocutori creativi» della Mercedes, della Volkswagen e delle nostre multinazionali tascabili. «La loro forza è di essere combinatori di tecnologia, è l’evoluzione migliore del modello Nec di Fuà, non abbiamo però il dato esatto di quanti siano». A spanne si può azzardare che rappresentano al massimo il 20% del sistema delle imprese, il resto vegeta. Sono troppe le aziende che faticano a innovare il loro modello di business e per di più hanno vissuto anche i contraccolpi economici del terremoto. «Il vero problema è il capitale umano», ammonisce Balloni e si capisce come la modernizzazione del modello Adriatico da questo versante sia ancora ai preliminari.
Analizzando i dati del traffico di Tir sull’autostrada A14 la segmentazione di cui parla Balloni viene fuori scandita dai 743 chilometri che si susseguono. Da Bologna a Rimini il traffico è sostenuto quasi a livelli nordestini e riflette l’attività di aziende snelle, innovative e internazionalizzate. Da Rimini fino a Pescara il traffico è in crescita grazie alla ripresa ma il modello è più autarchico, più legato a sistemi di fornitura a corto raggio e in qualche maniera condizionato dai disastri del localismo bancario. Dove invece la crescita è più impetuosa è in Puglia, sulla Canosa-Taranto: +4,6% di Tir in un anno a dimostrazione di come l’abbinata tra turismo e sistema agro-alimentare abbia la capacità di generare anche traffico pesante.

Da Ovest verso Est

Adrion, invece, è il programma della Ue per l’area adriatico-jonica e vede coinvolti i Paesi membri (Italia, Grecia, Slovenia e Croazia) più altri come Macedonia, in tutto 31 regioni. Gli obiettivi come in questi casi sono ambiziosi e vanno dalla costruzione materiale dei corridoi infrastrutturali all’ambiente e persino al trasferimento di modelli di costruzione delle istituzioni. Patrizio Bianchi, è assessore al lavoro e alle politiche europee della regione (l’Emilia-Romagna) che ha il coordinamento di Adrion ed è convinto che il progetto in questione oltre a rafforzare la porta Est dell’Europa, ancorandola alla parte più sviluppata dell’economia industriale continentale – Germania e Italia del Nord -, possa dotare i sistemi produttivi locali di nuove relazioni con i Paesi balcanici. «Finora esistono singole iniziative italiane in Croazia, Slovenia e soprattutto in Albania, non c’è ancora la consapevolezza di questa opportunità. Eppure si tratta di economie che si sono messe in moto anche a ritmi interessanti. Dovremo muoverci». Qualche esperienza-pilota, come detto, esiste: gli emiliani sono andati in Albania non solo con iniziative industriali ma anche con strutture scolastiche; la concorrenza diretta dei tedeschi, fortissimi almeno fino in Slovenia, infatti passa anche da qui dai modelli di istruzione e dalla diffusione delle scuole tecniche. Cosa si può pensare di costruire da qui almeno entro il 2020? Nel sistema industriale adriatico non c’è ancora consapevolezza di questa opportunità ma Paolo Merloni, presidente di Ariston Merloni Group, ci crede: «Le economie si sviluppano per cerchi concentrici e i Balcani sono il nostro vicino di casa, ci sono persino delle comunanze. Per le nostre Pmi è quasi un tema obbligato e francamente mi sembra una prospettiva più concreta rispetto alla Via della Seta». Chi parla può vantarsi di aver continuato a credere nel modello adriatico perché ha costruito una multinazionale tascabile presente in 37 Paesi del globo, «ma abbiamo lasciato la testa, i centri di competenza e molte attività manifatturiere qui».

Il rebus della Seta

Arriviamo alla Via della Seta. Passando per il mare Adriatico le merci cinesi risparmierebbero rispetto alla rotta su Rotterdam la bellezza di 7 giorni e almeno un 10% di costi e giova ricordare come Pechino abbia già conquistato il porto del Pireo. I nuovi progetti riguardano sia un’ipotetica ferrovia nell’entroterra balcanico sia il potenziamento del traffico via mare che avrebbe come interlocutori obbligati i nostri porti di Ravenna, Venezia e Trieste oltre a quelli di Capodistria e Fiume. Ma i giochi non sono ancora fatti e Rotterdam non solo non si rassegna a perdere ma gode dell’appoggio tedesco. Ergo non è facile oggi assegnare alla Via della Seta una tempistica certa, si può dire solo che riguarderà gli anni Venti. Il guaio è, come osserva Paolo Perulli il sociologo che ci sta accompagnando in quest’Italia in Movimento, che «il mondo adriatico non è pronto a recepire questa dirompente novità». Anche perché sta pian piano emergendo che i cinesi non cercano solo porti e infrastrutture ma stanno posando le reti della loro seconda globalizzazione dopo quella che li condusse allo storico ingresso nel Wto. E per ricavare queste sensazioni bisogna interpretare i segnali dei maggiorenti di Pechino e persino le cartine dei mari e delle rotte che disegnano le autorità. Chi per lavoro ha il compito di dialogare ogni giorno con loro come D’Agostino si è fatto l’idea che in ballo ci sarà anche una sorta di integrazione con l’industria europea. I cinesi in alcuni settori hanno sovracapacità produttiva e sarebbero ben felici di industrializzare alcune zone dell’Europa e in questo caso la collaborazione con l’Italia dovrebbe prevedere giocoforza un terzo lato del triangolo, i territori balcanici. «Premetto che oggi i porti non sono più quelli di una volta. Sono dei sistemi che hanno all’interno servizi, manifattura e persino finanza e di conseguenza sono uno straordinario punto d’osservazione – spiega il presidente del porto di Trieste – E comunque con i cinesi non si parla solo di logistica e merci ma di integrazioni con i territori organizzati. La nuova Via della Seta mi pare soprattutto questo». Di conseguenza per tutto l’Adriatico rappresenta una sfida prima di tutto a se stesso e si parte decisamente in salita. «Il mare è ricchezza e lo hanno capito Shanghai, Singapore, New York. In Italia invece è sinonimo di depressione e infatti da noi invece le città portuali hanno tutte dei problemi e non solo le adriatiche» chiude D’Agostino.

Sorgente: Corriere della Sera

India-Usa, Washington si unisce all’opposizione di Nuova Delhi alla “nuova Via della Seta” 

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Speciale infrastrutture: India-Usa, Washington si unisce all’opposizione di Nuova Delhi alla “nuova Via della Seta”

Nuova Delhi, 04 ott 18:00 – Agenzia Nova – L’amministrazione del presidente Usa Donald Trump sostiene l’India nella sua opposizione all’ambizioso progetto cinese One Belt One Road, la “nuova Via della Seta” con cui Pechino punta a sviluppare le infrastrutture e gli scambi commerciali a cavallo tra Europa ed Asia, e in particolare al tratto sino-pakistano del progetto, il Corridoio economico Cina-Pakistan (Cpec). “In un mondo globalizzato esistono tante cinture e tante strade, e nessun paese dovrebbe arrogarsi l’autorità di definirne una sola” ha dichiarato ieri il segretario della Difesa usa James Mattis, nel corso di una audizione di fronte alla commissione Servizi armati del Senato federale statunitense. Mattis ha fatto riferimento al passaggio del Corridoio Cina-Pakistan lungo territori del Kashmir rivendicati da Islamabad e Nuova Delhi, ed ha affermato che Pechino non dovrebbe forzare il progetto attraverso territori su cui gravino dubbi in termini di sovranità.

Il segretario Usa ha affrontato la questione su richiesta del senatore Charles Peters, secondo cui il progetto One belt One Road “punta a garantire il controllo della Cina sugli interessi continentali e marittimi, con l’obiettivo di estendere un dominio sull’Eurasia e sfruttarne le risorse naturali”. L’India ha disertato il Forum sulla “nuova Via della Seta” organizzato da Pechino lo scorso maggio proprio in segno di protesta contro il progetto da 60 miliardi di dollari del Corridoio economico Cina-Pakistan, che Nuova Delhi accusa di travalicare il “Kashmir occupato dal Pakistan”.

La “nuova Via della Seta” è l’ambizioso progetto attraverso cui Pechino mira a creare solidi rapporti industriali con i paesi che saranno coinvolti. Lanciata dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013, l’iniziativa One Belt One Road (Obor) punta a creare una rete di infrastrutture di trasporto, di comunicazione e di scambio che coinvolge al momento 64 paesi oltre alla Cina – circa 4,5 miliardi di persone –, su un’area che si estende fra Asia, Europa e Africa. L’obiettivo di Pechino è completare il tracciato principale entro il 2049; a sostegno del progetto ci sono attualmente tre istituzioni finanziatrici, capeggiate dalla Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), una banca multilaterale a cui hanno aderito finora quasi 100 paesi. I progetti ammessi al finanziamento nell’ambito del progetto Obor aprono enormi opportunità di business nei settori dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell’energia, oltre che in settori trasversali.

Sorgente: Speciale infrastrutture: India-Usa, Washington si unisce all’opposizione di Nuova Delhi alla “nuova Via della Seta” | Agenzia Nova

Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia – Progetto AlpInnoCT: incontro tra i partners di progetto a Trieste dal 4 al 6 ottobre

Condividere, attuare e capitalizzare soluzioni innovative per lo sviluppo del trasporto combinato: questi gli obiettivi degli incontri del progetto AlpInnoCT, che coinvolge partner di cinque Paesi dell’arco alpino (Slovenia, Italia, Austria, Germania e Svizzera), in programma a Trieste dal 4 al 6 ottobre.
AlpInnoCT, acronimo di Alpine Innovation for Combined Transport, punta infatti a migliorare la competitività del trasporto combinato delle merci attraverso un’ottimizzazione integrata e transnazionale dei servizi intermodali.
Il progetto, della durata di 36 mesi, è stato approvato a fine 2016 dal Programma di Cooperazione territoriale transnazionale Interreg Spazio Alpino 2014-2020, con un finanziamento complessivo di tre milioni di euro ed è coordinato dalla Baviera, con la partecipazione nel ruolo di partner della Direzione centrale infrastrutture e territorio della Regione Friuli Venezia Giulia e dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale di Trieste. Specifico obiettivo della partecipazione regionale al progetto è quello di sviluppare ulteriormente i servizi di trasporto combinato lungo la direttrice intermodale Friuli Venezia Giulia- Austria-Germania.
In particolare, Regione si propone di realizzare lo studio e la valutazione dell’applicazione di soluzioni innovative pilota in materia di trasporto combinato lungo la direttrice tra il Porto di Trieste e le aree produttive della Baviera, d’intesa e in coordinamento con l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale.
Nel corso dei tre giorni di lavoro, organizzati dalla Direzione centrale infrastrutture e territorio d’intesa con il Porto di Trieste, i quindici partner di progetto si confronteranno per impostare lo strumento del “Dialogue event”, pensato per coinvolgere attivamente i portatori di interesse dell’area nell’attuazione delle attività di progetto, nonché per analizzare lo stato di avanzamento delle attività di ricerca e studio previste, anche nell’attica del contributo da apportare allo sviluppo della strategia macroregionale per la Regione Alpina – EUSALP, il cui gruppo di lavoro transnazionale sui trasporti – Action Group n.4 “inter-modality and interoperability in passenger and freight transport” – è presieduto dal Land Tirolo.
Per l’Italia partecipano al progetto, oltre alla Regione Friuli Venezia Giulia e al Porto di Trieste, l’Unione delle Camere di Commercio del Veneto – Eurosportello – che è responsabile delle attività di promozione e comunicazione, l’Accademia Europea di Bolzano e il Consorzio ZAI Interporto Quadrante Europa di Verona.

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Trieste, Msc punta alla logistica nei capannoni ex Wärtsilä 

Aponte in visita al Porto di Trieste: l’armatore vuole aumentare i volumi di traffico grazie alla free zone e guarda all’area di Bagnoli che sta per passare all’Interportodi Silvio Maranzana

TRIESTE. Gianluigi Aponte, l’uomo che guida la seconda flotta cargo al mondo con 500 navi tra proprie e noleggiate (senza contare il settore crocieristico) e ha alle sue dipendenze 28mila persone, ha intenzione di aumentare i volumi di traffico su Trieste grazie alle free zone unica in Europa, oggi finalmente regolamentata, qui esistente. E punta in particolare sui capannoni di Bagnoli della Rosandra che Wärtsilä sta per cedere all’Interporto di Fernetti dove insediare attività di logistica collegate agli sbarchi-imbarchi.

Ieri il superarmatore settantasettenne ha voluto vedere di persona i progressi che sta registrando il porto di Trieste e nel primo pomeriggio si è trattenuto a lungo a colloquio alla Torre del Lloyd con Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di sistema portuale dell’Adriatico orientale oltre che di Assoporti. «Stiamo registrando una crescita del 20% rispetto all’anno scorso nel settore container – ha spiegato poi D’Agostino – in virtù soprattutto degli sforzi che sta facendo la compagnia di Aponte». Msc è salita recentemente al 50% delle quote di Trieste marine terminal, la società gestita da Pierluigi Maneschi che è rimasto socio paritario e si sta accollando metà dell’investimento di oltre 180 milioni di euro per ampliare la banchina. Aponte però grazie alla metà delle quote ha blindato Tmt impedendo che altri ne assumano il controllo. Del resto le megaportacontainer di Msc assieme a quelle di Maersk fanno parte del consorzio 2M che una volta alla settimana scala il Molo Settimo con un servizio transoceanico diretto dal Far East e la stessa compagnia gestisce su Trieste anche alcuni servizi mediterranei.

«In mattinata, dopo un saluto alla governatrice Debora Serracchiani – riferisce ancora D’Agostino – Aponte ha voluto vedere le aree dell’ex Ezit dove potrebbero essere insediati spezzoni di Punto franco e i possibili collegamenti ferroviari, ma in particolare si è dimostrato interessato ai due capannoni dell’ex Wärtsilä. È in corso l’operazione di acquisizione di queste strutture da parte dell’Interporto di Fernetti, dopodiché se sarà utile potrà essere insediato il Punto franco e Msc potrebbe sviluppare qui attività legate alle operazioni logistiche».

Nella sua visita triestina Aponte era affiancato dall’ex presidente dell’Authority di Genova, oggi direttore dei rapporti istituzionali di Msc, Luigi Merlo. Erano presenti anche lo stesso Pierluigi Maneschi e Giacomo Borruso, presidente dell’Interporto che ha confermato l’operazione in corso per l’acquisizione da parte dell’Interporto di aree coperte per 73mila metri quadrati e scoperte per 250mila. Recentemente una nota della Regione, che potrebbe supportare l’operazione con la finanziaria Friulia, ne ha stimato il valore – tra acquisizione e riconversione del sito – in circa 20 milioni di euro con la possibilità che porti alla creazione di oltre 100 posti di lavoro. Non è nota la formula giuridica per l’ingresso di Msc così come di un’azienda veneta specializzata nella trasformazione di materiali ferrosi che già nei mesi scorsi si è dimostrata interessata a insediarsi in loco.

È rimasto ai margini dei colloqui di ieri invece il settore crocieristico, sebbene si avvicini la data del 30 settembre allorché un’importante cerimonia si svolgerà a Trieste con la consegna all’armatore di Msc Seaside, la più grande nave da crociera mai costruita in Italia, in fase di ultimazione a Monfalcone. Madrina della cerimonia sarà Sophia Loren.

La stessa Msc aveva dapprima proposto una manifestazione d’interesse per acquisire il 40% di Trieste terminal passeggeri ancora in mano all’Authority, e più recentemente si è detta interessata a un progetto di terminal crocieristico all’interno del Porto vecchio.

Sorgente: Trieste, Msc punta alla logistica nei capannoni ex Wärtsilä – Cronaca – Il Piccolo