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Affitto con riscatto, Rent to Buy, Help to Buy e Buy to Rent: FACCIAMO CHIAREZZA!

 affitto rent buy
Affitto con riscatto o rent buy

Quando, all’inizio del 2009, Andrea Russo ha introdotto il Rent to Buy in Italia, questo termine anglofono risultava
alla maggior parte delle persone totalmente nuovo, così come il concetto commerciale allo stesso collegato.

Oggi invece, essendo ormai esplosa la necessità di formule di compravendita alternative a quella tradizionale,
tutti vogliono cavalcare l’onda, senza però di fatto proporre nulla di nuovo: ecco così che il Governo italiano
riscopre il vecchio affitto con riscatto e lo modernizza creando una nuova tipologia contrattuale ad hoc, denominata
contratto di godimento in funzione della successiva alienazione dell’immobile.

Siccome il nome è troppo lungo e chiamarlo affitto con riscatto sa di vecchio, ecco che tutti
(Governo, Notariato e mass media) si mettono d’accordo di chiamarlo Rent to Buy, “espropriando” Andrea Russo
del termine da lui introdotto in italia nel 2009 ed ingenerando una notevole confusione nei consumatori.

Già prima altre forme contrattuali, da sempre presenti nel nostro ordinamento giuridico, erano state ribattezzate
con termini inglesi, evidentemente più freschi ed accattivanti.

E’ questo il caso del preliminare ad effetti anticipati, adesso ridenominato Help to Buy
e del contratto di vendita con patto di riservato dominio (o con riserva di proprietà), oggi ridenominato Buy to Rent.

Risultato: i consumatori sono nella confusione più totale, e con loro gli stessi professionisti del settore, i quali
spesso parlano di Rent to Buy senza assolutamente conoscerlo o confondendolo con l’affitto con riscatto.

In questa pagina del sito ci proponiamo di fare chiarezza, utilizzando un linguaggio che coniughi la precisione tecnica
dovuta ai professionisti del settore e la semplicità dovuta ai privati acquirenti o venditori.

Prima di spiegare le varie tipologie contrattuali e le loro importanti differenze sul piano giuridico e fiscale, è opportuno
osservare come, anche sul piano concettuale il Rent to Buy sia decisamente diverso ed innovativo rispetto alle sopra
citate tipologie contrattuali.

Affitto con riscattopreliminare ad effetti anticipati e contratto di vendita con patto di riservato dominio
(o con riserva di proprietà) sono formule legate ad un unico comune denominatore: il concetto di rateizzazione
del pagamento del prezzo del bene, con conseguente onere per il venditore di fare da banca all’acquirente.

Ben diversa è la filosofia del Rent to Buy nei paesi anglosassoni, che Andrea Russo ha fedelmente tradotto
nel mercato italiano: creare un programma preparatorio all’acquisto finalizzato ad offrire all’acquirente
il tempo necessario per allinearsi ai parametri previsti dal mondo bancario per la concessione del finanziamento
necessario per completare l’acquisto.

Senza pertanto chiedere al venditore di fare da banca ma semplicemente da incubatore.

Il tutto però con la costante assistenza del Consulente Finanziario, la cui presenza è fondamentale non solo
per garantire l’ottenimento del mutuo, ma anche per anticiparlo rispetto alla durata del programma Rent to Buy,
solitamente fissata in tre anni.

Fatta questa importante premessa, la seguente tabella risulterà molto utile per qualificare correttamente le diverse
tipologie contrattuali.

RENT TO BUY ORIGINALE = PRELIMINARE COLLEGATO AL CONTRATTO DI LOCAZIONE

Il Rent to Buy Originale si realizza usando uno schema contrattuale complesso, costituito da due contratti tipici
(ovvero previsti e regolamentati dal nostro Codice Civile) tra loro collegati: il preliminare di compravendita
ed il contratto di locazione.

Questo modello contrattuale è quindi normato dal Codice Civile e dalle leggi sulla locazione.
La sua solidità giuridica è pertanto ancor più “granitica” del Rent to Buy con riscatto normato con la legge 164/2014.

Entrambi i singoli contratti vengono registrati presso l’Agenzia delle Entrate; il preliminare deve però, tassativamente,
essere anche trascritto, con l’intervento del Notaio, per garantire l’acquirente in caso di fallimento o morte del venditore
o nel caso in cui il bene venga aggredito da una ipoteca giudiziale o da un pignoramento.

La delicatezza, nella realizzazione di questo schema contrattuale, consiste nella definizione delle clausole che collegano
i due contratti, le quali devono essere meticolosamente studiate al fine di:

  • non far perdere ai contratti il loro carattere di tipicità;
  • creare un sistema di paracadute ed ammortizzatori che consenta alle parti di gestire comunque in modo Win-Win
    e senza contenzioso eventuali situazioni critiche che si potrebbero verificare in un arco temporale di tre anni;
  • non movimentare, in alcun modo, la fiscalità sulla vendita prima del rogito notarile.

Su quest’ultimo punto mi sento in dovere di avvisare che l’utilizzo di due contratti tipici collegati è un presupposto
fondamentale ma non esaustivo al fine di evitare di movimentare la fiscalità già alla stipula dei contratti anziché,
come è del resto logico e corretto che sia, al rogito notarile.

Non è infatti da trascurare il pericolo che lo schema contrattuale del Rent to Buy Originale possa forzatamente
essere assimilato al contratto di locazione con patto di futura vendita impegnativo per entrambe le parti,
con le tragiche conseguenze fiscali che questa diversa tipologia contrattuale comporta, così come di seguito
accuratamente esposto.

Ciò che conta non è il nome che attribuiamo ai contratti, ma il loro contenuto e soprattutto la reale volontà delle parti.

Con un contratto preliminare di compravendita collegato ad un contratto di locazione possiamo infatti realizzare
sia un programma preparatorio all’acquisto, sia una vendita con pagamento rateizzato; possiamo inoltre creare
uno schema contrattuale chiuso, che preveda cioè come unico epilogo possibile il trasferimento della proprietà
del bene, così come possiamo creare uno schema contrattuale aperto, che preveda quindi più possibili epiloghi
tra cui anche, ma non solo e non necessariamente, il trasferimento della proprietà.

E’ logico ed evidente che nella compravendita Rent to Buy sia da escudere qualsiasi intento elusivo: non si vuole
rinviare la tassazione di una vendita già conclusa ma semplicemente affrontare la corretta tassazione nel momento
in cui questa vendita, di cui oggi stiamo solamente costruendo i presupposti affinché si possa effettivamente realizzare,
si concretizzerà grazie all’ottenimento di un mutuo o al verificarsi della vendita di un immobile usato.

Appare altresì logico e corretto che il venditore dichiari il proprio ricavo e vi paghi le relative imposte solamente
nel momento in cui lo ha effettivamente percepito. Così come è giusto che l’acquirente paghi le proprie imposte sulla
compravendita solamente nel momento in cui la riesce effettivamente a concretizzare, grazie all’ottenimento del mutuo.

Tutto questo, per quanto logico e condivisibile che sia, rischia di essere messo in discussione se non vi sono
dei contratti assolutamente perfetti.

Sia ben chiaro che per metterli a punto non è sufficiente un accuratissimo studio, ci vuole anche
una grande esperienza, che nel nostro caso va dal 2009 ad oggi.

Le clausole contrattuali che utilizziamo si sono il frutto dell’evoluzione maturata negli anni e sono oggi
molto più complete e perfette rispetto a quelle che utilizzavamo nel 2009, quando siamo partiti come pionieri.

AFFITTI CON RISCATTO

Si possono realizzare usando due diverse tipologie contrattuali: il contratto di locazione con opzione di acquisto
ed il contratto di locazione con patto di futura vendita.

AFFITTO CON OPZIONE DI ACQUISTO

Prendiamo intanto in esame la tipologia più diffusa, solitamente realizzata con lo schema contrattuale
del contratto di locazione collegato al contratto di opzione di acquisto, con il quale viene concesso all’inquilino
il diritto potestativo di poter acquistare il bene, oggetto della locazione, entro una determinata data e ad un prezzo
prestabilito oggi, con l’accordo che, nel caso in cui andrà ad esercitare questo suo unilaterale diritto di opzione,
una parte dell’affitto pagato verrà scontato dal prezzo pattuito.

Saremmo anche qui in presenza, come nel Rent to Buy Originale, di due contratti tipici tra loro collegati
che non presentano, se correttamente realizzati, alcuna problematica di movimentazione immediata della fiscalità
sulla vendita e non sconfinano nella atipicità. Purché, lo ripeto, siano correttamente realizzati.

In alternativa si può anche usare un unico contratto di locazione che incorpori al suo interno il contratto di opzione
di acquisto, rinunciando quindi alla soluzione, più lineare, dei 2 contratti tipici collegati.

Ciò comporta, sotto il profilo giuridico, l’utilizzo di un contratto complesso, costituito da un negozio primario e da
un negozio accessorio. Quale sia il negozio primario e quale sia quello accessorio dipende da come viene impostato
il contratto e dal fatto che vi sia o meno un rapporto di funzionalità della locazione all’acquisto.

Tutto ciò, per quanto secondario possa apparire, diventa molto rilevante in sede di contenzioso: può determinare
la disciplina giuridica applicabile, quella sulla locazione o quella sulla vendita. E può altresì determinare la tipicità
o l’atipicità del contratto.

Nella tipologia contrattuale in esame il venditore non è assolutamente tutelato. Egli non può percepire alcuna caparra,
essendo l’opzione di acquisto un diritto esclusivo dell’inquilino e non un impegno formale.

E’ invece il venditore ad impegnarsi, per tutta la durata del periodo di opzione, a non alienare il bene a terzi,
nella speranza che il suo inquilino poi effettivamente acquisti.

Non essendo prevista la possibilità di trascrivere il contratto di opzione di acquisto, è impossibile garantire l’inquilino
in caso di fallimento o morte del venditore o nel caso in cui il bene venga aggredito con una ipoteca giudiziale
o con un pignoramento.

L’acquirente non ha inoltre alcun paracadute nel caso in cui sia impossibilitato ad esercitare l’opzione di acquisto,
giusto ad esempio perché non riesce ad ottenere il mutuo.

Questo tragico evento ha buone probabilità di verificarsi perché c’è un gravissimo problema che gli operatori del settore
hanno spesso ignorato, generando qualche danno: la “locazione con opzione di acquisto” non genera equity!

L’equity è il livello di capitale proprio iniziale che chi oggi chiede un mutuo deve dimostrare di possedere
al mondo bancario nelle modalità dallo stesso richieste, che sono sostanzialmente due:
o liquidità depositata sul conto corrente o somme già corrisposte al venditore a titolo di caparra o acconto prezzo.

Il problema, nella tipologia contrattuale in esame, è che tutte le somme vengono corrisposte unicamente a titolo di canoni
di locazione che, al momento del riscatto, vanno a diminuire il prezzo pattuito.

Tali somme non vengono pertanto viste dal mondo bancario come un reale accantonamento sull’acquisto,
ma semplicemente come una decurtazione del prezzo pattuito: si acquista quindi con uno sconto ma,
dal punto di vista bancario, non si è generata alcuna equity.

Di fatto per l’istituto di credito il potenziale mutuatario sta ancora chiedendo un mutuo al 100%!

Tale meccanismo risulta oltretutto assai penalizzante sul piano fiscale per il venditore, costretto a pagare in pieno
le tasse su degli affitti che percepisce ma dovrà poi restituire scalandoli dal prezzo di vendita pattuito!

Queste problematiche fiscali, la mancata generazione dell’equity e la mancanza di trascrivibilità, sono state superate
con la moderna versione dell’affitto con riscatto: il Rent to Buy con riscatto, che ha di fatto mandato
questa tipologia contrattuale in pensione.

LOCAZIONE CON PATTO DI FUTURA VENDITA

L’altra tipologia contrattuale, molto meno utilizzata rispetto alla precedente, con cui si può realizzare
l’affitto con riscatto è il contratto di locazione con patto di futura vendita.

Qui il problema dell’equity non si pone, trattandosi sostanzialmente di un unico contratto “atipico” e “misto“,
contenente sia gli elementi tipici del contratto di locazione, sia quelli del preliminare di compravendita;
le somme rateizzate che si versano vengono alla fine riqualificate come acconti prezzo,
generando così l’equity per il modo bancario.

Le problematiche sono qui innanzi tutto di natura fiscale, essendo stata questa tipologia contrattuale oggetto
dapprima della Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 338 del 01/08/2008 e successivamente
della Circolare Ministeriale 28/E/2011, con le quali l’Amministrazione Finanziaria ha lapidariamente precisato che
il momento impositivo, ai fini della tassazione sulla vendita, coincide con la data di stipulazione del contratto,
nonostante gli effetti traslativi si producano successivamente.

La nuova normativa contenuta nel decreto “Sblocca Italia” ha spostato il momento impositivo al rogito,
sia per questo contratto che per la vendita con riserva di proprietà, ma solo ed esclusivamente per gli immobili
destinati ad edilizia sociale. Per tutti gli altri il problema permane.

A prescindere da ciò c’è un altro motivo per il quale sconsigliamo vivamente l’utilizzo di questo modello contrattuale:
appartiene alla categoria dei contratti chiusi (vedasi tabella) che, oltre a movimentare la fiscalità sulla vendita
sin dalla data di stipula, non offrono alcun paracadute o ammortizzatore per gestire in modo Win-Win
e senza contenzioso eventuali situazioni critiche che si potrebbero verificare prima del rogito definitivo.

E’ ovvio che un contenzioso che verte su un contratto come questo, “misto” ed “atipico“,
può rivelarsi davvero devastante…

RENT TO BUY CON RISCATTO = CONTRATTO DI GODIMENTO IN FUNZIONE DELLA SUCCESSIVA ALIENAZIONE

E’ la nuova tipologia contrattuale introdotta con l’artticolo 23 del Decreto Legge “Sblocca Italia” con la quale
è stato decisamente modernizzato l’affitto con riscatto, ormai totalmente obsoleto visti i grandi vantaggi
contenuti nel nuovo contratto di godimento in funzione della successiva alienazione dell’immobile.

Il primo importante elemento positivo è costituito dall’obbligo della trascrizione, con una durata della stessa
pari a quella del contratto sottoscritto ma entro il limite massimo di dieci anni.

Un secondo vantaggio, rispetto al tradizionale affitto con riscatto, deriva dall’aver previsto un meccanismo
di imputazione a pagamento del prezzo di una parte del corrispettivo per il godimento del bene, riqualificando
tali somme, al momento del rogito notarile, come acconto prezzo.

Si evita così di doverle portare in decurtazione del prezzo dichiarato in atto, superando quindi il problema
della mancata creazione dell’equity tipico dell’affitto con riscatto.

In questa nuova tipologia contrattuale la parte acquirente è apparentemente quella meglio garantita, salvo che
non si verifichino degli incidenti di percorso difficilmente gestibili in assenza dei paracadute e degli ammortizzatori
che solamente il Rent to Buy Originale è in grado di offrire, grazie alla presenza di due distinti contratti anziché
di un solo contratto unitario.

Le garanzie sono invece meno immediate per la parte venditrice, in assenza di un formale impegno all’acquisto
ed in presenza di una semplice opzione a favore del conduttore, da cui scaturisce l’impossibilità di prevedere
nel contratto una somma a titolo di caparra confirmatoria.

Ciò non toglie che il venditore possa comunque essere garantito, anche se in modo graduale, del reale intento
di acquisto tramite la corresponsione di un canone di godimento largamente superiore a quello di un normale affitto.

Questa tipologia contrattuale ripropone sostanzianzialmente la logica commerciale dell’affitto con opzione di acquisto,
ma ne prende le distanze sotto il profilo giuridico, che non ricade nell’ambito della disciplina sulla locazione,
rientrando questo contratto in una nuova tipologia a sè stante ed essendo regolato, per quanto compatibili,
con alcune norme sull’usufrutto espressamente richiamate.

Per quanto concerne la parte fiscale, che non era stata normata dal decreto convertito in legge, la nuova tipologia
contrattuale è regolamentata dalla Circolare n. 4/E pubblicata dall’Agenzia delle Entrate in data 19/02/2015.

Un ulteriore intervento legislativo è contenuto nel Decreto Legge n. 59 del 3 Maggio 2016, il quale ha aggiunto
il comma 2 bis all’art. 23 del Decreto Legge n. 133 del 12 Settembre 2014, prevedendo che “per il rilascio dell’immobile
il concedente può avvalersi del procedimento per convalida di sfratto, di cui al libro quarto, titolo I, capo II
del codice di procedura civile”.

Con questo intervento sono adesso identiche le procedure di cui il proprietario del bene può avvalersi per ottenere
il rilascio dell’immobile in caso di inadempimento del conduttore, sia in caso di utilizzo del Rent to Buy Originale,
sia in caso di utilizzo del Rent to Buy con riscatto.

In pratica il proprietario non rischia nulla in più di un normale locatore.

Ma, alla luce della nostra pluriennale esperienza, ci sentiamo di affermare che in realtà rischia molto meno
perché l’affidabilità di un acquirente Rent to Buy è solitamente superiore a quella di un normale conduttore.

Ben più alti sono invece i rischi del proprietario nella tipologia contrattuale che segue, il preliminare ad effetti anticipati.

HELP TO BUY = PRELIMINARE AD EFFETTI ANTICIPATI

E’ il nome con cui è stato ribattezzato il contratto preliminare ad effetti anticipati, di fatto già da tempo in uso
nonostante le problematiche fiscali che può comportare.

Esso non è infatti per nulla favorito dall’Amministrazione Finanziaria, la quale tende a considerare
tale fattispecie tassabile come il definitivo, estendendo l’interpretazione adottata
per il contratto di locazione con patto di futura vendita, ovvero che l’effetto traslativo viene differito
a mero scopo di garanzia del venditore in una modalità di pagamento rateizzato.

Indipendentemente dall’orientamento che può assumere la singola Agenzia delle Entrate, che peraltro non è uniforme
su tutto il territorio nazionale, incombe comunque su questa tipologia contrattuale la sentenza 33 del 10 Luglio 2009
emessa dalla Commissione Tributaria di Vercelli la quale, ritenendo “che le parti abbiano inteso, già con il preliminare,
dare un assetto definitivo del loro rapporto…”, ha affermato che, sia pure ai soli fini tributari, l’atto in questione
debba essere considerato alla stregua di una vera e propria compravendita ed essere quindi assoggettato
all’imposta tradizionale.

Questa interpretazione trova sostegno nella natura giuridica di questo contratto, con il quale si immette il promissario
acquirente nella detenzione del bene anticipando gli effetti dell’atto definitivo e generando così
un contratto complesso che contiene al suo interno due contratti accessori, ovvero un contratto di comodato d’uso
(relativamente alla detenzione del bene) ed un contratto di mutuo (relativamente agli acconti corrisposti).

Ben diversa ed assai più lineare è invece la natura giuridica dello schema contrattuale del Rent to Buy Originale,
ove si immette il promissario acquirente nella detenzione del bene non per una anticipazione degli effetti
dell’atto definitivo, bensì in virtù di un separato contratto di locazione.

A confermare quanto sopra esposto è intervenuta anche l’AIDC (Associazione Italiana Dottori Commercialisti ed Esperti
Contabili), con la “Norma di comportamento n. 191”, dove nel ribadire il problema della movimentazione immediata
della fiscalità sulla vendita nel contratto di locazione con patto di futura vendita, precisa che “I medesimi
effetti fiscali si manifestano nel caso del contratto preliminare ad effetti anticipati, quando le pattuizioni
nello stesso contenute prevedono, in modo vincolante per ambedue le parti, sia l’immissione immediata
del promittente acquirente nel pieno possesso e nel godimento del bene, come ne fosse proprietario,
sia il pagamento del saldo prezzo al momento della stipula dell’atto notarile di compravendita, senza la previsione
di condizioni contrattuali causali che ne determinino l’esecuzione”.

A prescindere comunque dalle problematiche fiscali, sconsigliamo vivamente l’utilizzo di questo contratto
per il semplice fatto che appartiene anch’esso alla categoria dei “contratti chiusi” che non offrono
alcun paracadute o ammortizzatore per gestire eventuali situazioni critiche in modo Win-Win,
limitando i danni ed evitando il contenzioso.

I potenziali venditori non pensino che, in assenza di un contratto di locazione, le tempistiche per ottenere il rilascio
dell’immobile in caso di inadempimento contrattuale siano più brevi.

Contrariamente a quanto ingenuamente molti credono, è esattamente vero il contrario: in questa tipologia contrattuale
le cause durano anni!

A tal proposito leggasi, tra le domande e risposte frequenti, la pagina intitolata

Il prelimiInare ad effetti anticipati è un’altra versione del Rent to Buy?

I potenziali acquirenti, per contro, non si facciano allettare dal fatto che i versamenti rateizzati costituiscono
interamente acconti prezzo: l’affitto formalmente non c’è, ma in realtà lo si paga comunque sotto forma di un prezzo
maggiore rispetto a quello che si poteva ottenere acquistando con il Rent to Buy Originale o con l’acquisto tradizionale.

BUY TO RENT = VENDITA CON RISERVA DI PROPRIETA’

Con questo termine si è voluto forzatamente identificare due tipologie contrattuali contemplate dal nostro ordinamento
giuridico e tra loro concettualmente vicine:

  • la vendita con riserva di proprietà, detta anche vendita con patto di riservato dominio;
  • la vendita con condizione risolutiva, unilaterale nell’interesse del venditore, di inadempimento
    dell’obbligazione di pagamento del prezzo.

Sono sostanzialmente due contratti di vendita con pagamento rateizzato.

La differenza consiste nel fatto che mentre nella vendita con patto di riservato dominio l’effetto traslativo
(ovvero il trasferimento della proprietà) si produce solo con il pagamento dell’ultima rata,
nella vendita con condizione risolutiva l’effetto traslativo si produce già alla stipula, fermo però restando
che in caso di inadempimento nel pagamento del prezzo la proprietà ritornerà nuovamente al venditore.

Troviamo il nome Buy to Rent decisamente inappropriato e meramente finalizzato a dare un look più moderno
a dei contratti sicuramente non nuovi.
Chiamarli Buy to Rent porta la gente a pensare che possano essere una alternativa al Rent to Buy, cosa che invece
nella maniera più assoluta non sono, sia per la loro rigidità, sia per l’aggravio economico che comportano
movimentando immediatamente la fiscalità sulla vendita e costringendo l’acquirente a sostenere subito i costi
dell’atto definitivo, salvo che il notaio, in uno slancio di solidarietà con il venditore, non accetti anch’egli
un pagamento rateizzato.

Non sono quindi una risposta alle esigenze dell’acquirente che necessita di un programma preparatorio all’acquisto
che gli consenta di acquistare casa pur disponendo di una liquidità contenuta, che sarebbe assurdo erodere
per sostenere una imposizione fiscale immediata e le spese notarili per l’atto definitivo, stipulato senza peraltro
avere la certezza matematica di ottenere poi il mutuo!

Su questo aspetto si tenga inoltre ben presente che un eventuale mutuo finalizzato a consentire il saldo finale
del prezzo del bene, non sarebbe poi più nemmeno un mutuo prima casa: risulterebbe invece essere
un mutuo di liquidità, con richieste di equity e spread totalmente diversi e penalizzanti per il richiedente!

Il Buy to Rent non soddisfa nemmeno l’esigenza di chi necessita del programma preparatorio all’acquisto
per avere il tempo di alienare un immobile usato al fine di potersi poi intestare il nuovo come prima casa,
usufruendo dei relativi sgravi fiscali: con questi contratti le imposte si pagherebbero non solo subito,
ma anche come seconda casa!

In questi rigidissimi contratti l’unica applicazione che vediamo è quella di gestire una vendita rateizzata
di lunga durata, paragonabile a quella di un mutuo, in cui l’acquirente accetti di sottoscrivere un contratto rigido
e totalmente privo di paracadute unicamente perché l’intero importo della compravendita viene rateizzato
e non occorre pertanto richiedere alcun finanziamento bancario, avendo di fatto già ottenuta dal venditore,
disposto a fare da banca, la totale rateizzazione del pagamento.

Viene però da chiedersi quale può essere il venditore così disponibile: forse un privato che veda in un pagamento
così a lungo rateizzato una sorta di pensione integrativa, forse un parente dell’acquirente…

Smettiamo pertanto di chiamare Buy to Rent questi contratti, ingenerando confusione non solo nella gente comune
che cerca di comprare o di vendere casa, ma anche negli stessi professionisti del settore.

Chiamiamoli per quello che effettivamente sono: contratti di vendita con pagamento rateizzato!


 

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Consulenza finanziaria: solo 1 cliente su 5 è disposto a pagarla

  • Consob: il 45% degli investitori retail non sa indicare come sia remunerato il proprio financial advisor
  • Solo il 7% si rivolge alla consulenza indipendente
  • Prevalgono i modelli di advisory ristretta e avanzata
Consulenza finanziaria
Consulenza finanziaria

Solo un italiano su tre riceve consigli in materia di investimenti da esperti e crede, inoltre, che questo servizio a valore aggiunto sia completamente gratuito. Il dato emerge dal Rapporto 2017 sulle scelte di investimento delle famiglie italiane della Consob. Riguardo alla fruizione di servizi di consulenza finanziaria, lo studio rileva che quasi un terzo degli investitori beneficia di raccomandazioni personalizzate ai sensi MiFID, mentre i restanti ricevono consulenza passiva o generica. Nell’ambito dei vari modelli di servizio, rimane residuale la consulenza “indipendente”, riferita a un’ampia gamma di prodotti e remunerata esclusivamente dal cliente (7% degli investitori), mentre prevalgono la consulenza ristretta, che è riferita a un insieme limitato di strumenti finanziari generalmente e messi dallo stesso istituto di credito che eroga consulenza, e quella avanzata, che è applicata a un insieme più ampio di strumenti finanziari e con una valutazione periodica dell’adeguatezza dell’investimento.

Considerando le esigenze che più frequentemente spingono ad avvalersi di un professionista, il Rapporto mette in cima alla lista la pianificazione finanziaria di lungo periodo e la protezione del patrimonio. Nella scelta del consulente, invece, rivestono un ruolo importante sia la fiducia nel professionista sia l’indicazione da parte dell’istituto finanziario di riferimento (rispettivamente, 35% e 34%), mentre le competenze rilevano per una percentuale più contenuta del campione (19%). Ma non è solo una questione di fiducia: le capacità relazionali ed empatiche sono le abilità che più frequentemente gli investitori ricercano nel proprio consulente dopo quelle attinenti al conseguimento di buone performance, rispettivamente al 29% e 35% dei casi (29%). Diverso è tuttavia l’atteggiamento nei confronti dei costi del servizio: il 45% degli investitori non sa indicare come sia remunerato il proprio consulente, mentre il 37% crede che il servizio sia gratuito.

Alla bassa consapevolezza dei costi sostenuti, prosegue il Rapporto, si lega anche la bassa disponibilità a pagare. “In particolare, dopo la sfiducia negli intermediari (indicata nel 40% circa dei casi) i costi si annoverano tra i principali fattori che scoraggiano la domanda di consulenza. Tra i fruitori del servizio, inoltre, in media solo il 20% si dichiara propenso a remunerare il professionista, sebbene il dato aumenti con il grado di personalizzazione delle raccomandazioni ricevute, raggiungendo il 43% tra gli investitori assistiti da consulenza MiFID”. D’altra parte, le rilevazioni della Consob evidenziano la difficoltà a valutare la qualità del servizio ricevuto, oscillando tra il 40% e il 70% la percentuale di intervistati che non sono in grado di indicare alcun elemento di giudizio. Non solo. Tra gli investitori retail emerge “una diffusa riluttanza a informare il professionista degli elementi che egli deve (o può) acquisire ai fini della valutazione di adeguatezza della proposta di investimento”.

In particolare, il 14% degli investitori che ricevono consulenza non ritengono di dover fornire alcuna informazione, mentre nei casi restanti la percentuale di intervistati che indica uno specifico elemento non supera il 36% (il dato è relativo, in particolare, all’obiettivo di investimento). Tale evidenza è coerente con la scarsa attitudine, già ri cordata, a strutturare il processo decisionale in modo da tener conto dei fattori che più rilevano ai fini di scelte di investimento corrette e consapevoli.

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Sereni orizzonti archivia il 2016 con 7 milioni di euro di utile

Il Gruppo friulano, terzo player italiano, conta 4.500 posti letto di residenze per anziani e 2.300 dipendenti. Annunciati nuovi investimenti per attivare strutture in Veneto, Lombardia, Liguria e Sardegna

UDINE – Sfiora nel 2016 i sette milioni di euro l’utile netto consolidato del Gruppo friulano Sereni Orizzonti che opera in Italia costruendo e gestendo residenze sanitarie per anziani.

Il bilancio supera i 92 milioni di euro di ricavi, una crescita pari al 35% rispetto all’esercizio precedente.

Il patrimonio netto di Sereni Orizzonti sale a 72 milioni milioni.

Nell’ultimo triennio il Gruppo friulano, terzo player in Italia nel suo settore, ha più che raddoppiato il volume di ricavi e utili e il fatturato in formazione nel 2017 viene stimato in oltre 120 milioni di euro.

“La crescita dei posti letto e del numero di lavoratori occupati – afferma l’azionista di riferimento Massimo Blasoni – è molto rapida e cospicua sia per le numerose acquisizioni sia per l’attività di costruzione che ci ha visto realizzare quest’anno tre nuove Rsa a Pasian di Prato, Torre di Mosto (Ve) e Piacenza e avviare ben otto nuovi cantieri la cui consegna è prevista nel primo semestre del prossimo anno”.

Massimo Blasoni
Massimo Blasoni

Si tratta di Rodano (MI) 90 p.l., S. Mauro Torinese (TO) 120 p.l., Marcon (VE) 120 p.l., Macomer (NU) 40 p.l., Genova 110 p.l., Fiesco (CR) 80 p.l., Sanluri (VS) 80 p.l. e Milano 80 p.l.

“L’investimento complessivo supera i 100 milioni – prosegue Blasoni – ma occorre considerare che l’health care, vista la crescita di aspettativa di vita è in forte espansione e che Sereni Orizzonti vanta indici di redditività, tra i migliori nel settore in Italia che consentono un buon accesso al credito bancario.”

Oggi il gruppo possiede 4.500 posti letto – con una proprietà immobiliare a valori di mercato vicina ai 200 milioni – e occupa oltre 2.300 addetti.

L’obbiettivo dichiarato è quello di incrementare di 3.000 posti letto entro il triennio attraverso l’attività delle società del gruppo, in particolare di Life Care l’immobiliare che oggi si concentra sulle realizzazioni nei grandi centri urbani.

“Operiamo prevalentemente nel centro nord, pur presenti anche in Sicilia con l’Istituto Geriatrico Siciliano a Palermo e in Sardegna, ma vorremmo ampliare la nostra presenza anche alle altre regioni del sud”  conclude Blasoni.

 

Sorgente: Messaggero Veneto Udine – Sereni orizzonti archivia il 2016 con 7 milioni di euro di utile

 

Ex Upim: il Comune ha rilasciato il permesso a costruire

Udine – La Rizzani De Eccher ha presentato tutte le fidejussioni necessarie

Ex Upim: il Comune ha rilasciato il permesso a costruire
Ex Upim: il Comune ha rilasciato il permesso a costruire

Nella giornata di oggi, il Servizio Edilizia privata del Comune di Udine ha rilasciato all’Immobiliare Rizzani De Eccher srl il permesso a costruire per l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione dell’ex Upim. Con questa autorizzazione l’impresa costruttrice potrà procedere ora con l’avvio dell’intervento, fatto salvo l’obbligo di darne comunicazione all’amministrazione comunale entro 7 giorni.

“Questo è uno degli atti più significativi perché va a risolvere una criticità che avevamo proprio nel cuore del centro storico e del Friuli – sottolinea il sindaco di Udine, Furio Honsell –. Un progetto difficile e complesso che ha acceso il dibattito il città, come è giusto che sia. Come Comune abbiamo cercato di tutelare tutti i punti di vista e penso che comunque sia un passo avanti molto importante per la città, che nel giro di due anni potrà vedere risolto questo problema che si protrae da anni”.

Il permesso a costruire segue il via libera da parte della giunta nella seduta dello scorso 7 luglio. La scorsa settimana, inoltre, l’amministrazione comunale aveva concordato con i progettisti dell’intervento di prevedere una serie di precauzioni per il verde di piazzetta Belloni, che sarà tutelato dai lavori e, per quanto riguarda siepi e arbusti, custodito nel vivaio comunale di via Nodari in attesa di tornare a cantiere finito.

“Si chiude una vicenda complessa dovuta anche alle caratteristiche, all’importanza e alla posizione dell’edificio – è il commento del vicesindaco e assessore alla Pianificazione territoriale, Carlo Giacomello –. Ancora una volta la sinergia tra pubblico e privato caratterizza l’operato di questa amministrazione. L’elemento più importante, che forse è stato sottovalutato nelle polemiche emerse nel corso di questa vicenda, è che per la prima volta si inserisce in questo edificio l’elemento residenziale. Come amministrazione vogliamo una Udine che guarda avanti, una città che riviva con un tempo e una luce nuova, non una città rivolta al passato. In quest’ottica rispetto alla pedonalizzazione, alla crescita dei negozi e alla molteplicità di iniziative, l’elemento residenziale è quello che può dare più prospettive di sviluppo a lungo termine”.

Un pensiero poi, non può che andare anche al dibattito che si è acceso intorno al progetto. “L’interesse della città verso vari aspetti, da quello dell’architettura a quello della fruibilità, rappresenta un elemento positivo – continua Giacomello –. Siamo convinti di aver trovato un giusto punto di equilibrio e per questo ringraziamo in primis l’azienda e chi è stato direttamente coinvolto, come il soprintendente Corrado Azzolini, ma anche chi ha avanzato delle critiche in senso costruttivo. Citiamo a esempio il parere della commissione Edilizia, che ha integrato quello della Soprintendenza apportando alcune migliorie. Abbiamo cercato di tenere conto di tutte le posizioni e siamo convinti che con il tempo la città apprezzerà l’intervento”.

Per quanto riguarda il progetto Giacomello sottolinea che “l’edificio rispetta i limiti della scheda norma approvata nel piano regolatore 2012, non c’è stata alcuna concessione ulteriore. Si parla principalmente di un recupero dell’esistente per la parte commerciale, a cui si aggiungerà una trentina di appartamenti per la parte residenziale. I posti auto saranno collocati nel secondo piano interrato già presente nella struttura attuale con ingresso da via Savorgnana. Tutte le parti pubbliche occupate dal cantiere verranno ripristinate dall’impresa – conclude – e verrà tutelato il verde pubblico con l’idea di creare motivi di abbellimento e di maggior fruibilità degli spazi da parte della città”.

Ai fini dell’ottenimento dell’autorizzazione a costruire la Rizzani De Eccher ha prodotto tre polizze fidejussorie per l’esecuzione di lavori di ripristino di eventuali danni al suolo pubblico con l’occupazione dell’area di cantiere e l’armatura in via Savorgnana, via Cavour, piazzetta Belloni e piazza Duomo, nonché alle due aree verdi pubbliche di piazzetta Belloni e giardino Morpurgo. La ditta di Pozzuolo ha effettuato inoltre un versamento di 35 mila euro a titolo di rimborso per l’allestimento di un nuovo e diverso spazio per gli eventi culturali programmati in corte Morpurgo. Il permesso a costruire rilasciato dal Comune è soggetto al pagamento del contributo per gli oneri di urbanizzazione per complessivi 160.292,93 euro.

Sorgente: Il Friuli – Ex Upim: il Comune ha rilasciato il permesso a costruire

L’offerta luxury del Friuli: al via la seconda fase di Porto Piccolo 

Claudio de Eccher(nella foto)
Claudio de Eccher(nella foto)

A tre anni dall’apertura di Porto Piccolo, un progetto luxury che comprende offerta residenziale, yacht club, spa e l’unico hotel 5 stelle lusso del Friuli Venezia Giulia, si pensa già alla seconda fase di sviluppo.

“Abbiamo investito 350 milioni di euro – afferma Claudio de Eccher(nella foto), azionista del gruppo Rizzani de Eccher che ha realizzato il complesso – e altri 170 sono previsti per lo sviluppo della Baia Sistiana lì accanto: un’area di 250mila mq dove realizzeremo una marina per yacht fino a 100 metri”.

Le unità immobiliari presenti a Porto Piccolo sono 454, dai 50 ai 600 mq, con rifiniture di pregio e tutte con affaccio sul mare. “Si spazia dai 400mila euro fino ai 10 milioni – prosegue de Eccher – e sono state vendute prima proprio le abitazioni più costose”. Porto Piccolo riesce a intercettare un target, ovviamente big spender, ma proveniente sia dall’Italia che dall’Europa grazie alla vicinanza degli aeroporti internazionali di Trieste, Venezia, Treviso e Lubiana e in una posizione baricentrica per i Paesi della Mitteleuropa.

Sorgente: L’offerta luxury del Friuli: al via la seconda fase di Porto Piccolo | TTG Italia

Appalti: dal 2019 BIM obbligatorio sopra i 100 milioni – BIM

Appalti: dal 2019 BIM obbligatorio sopra i 100 milioni
Dal 2019 BIM obbligatorio sopra i 100 milioni

La prima tappa è fissata al 2019, ma solo per le opere sopra i 100 milioni, con scadenze progressive, per un sistema regolamentare che entrerà a pieno regime nel 2022. E, infine, una corsia preferenziale per i lavori semplici: potranno essere sempre effettuati con i metodi tradizionali. Il decreto del ministero delle Infrastrutture che fisserà il calendario per l’utilizzo del BIM in Italia è entrato nelle settimane chiave. La commissione Baratono, che ha il compito di scrivere il testo, sta prendendo le prime decisioni, con l’obiettivo di chiudere entro fine febbraio. Le scelte, per adesso, sono ancora provvisorie, ma emergono comunque alcuni dettagli molto interessanti per il mercato italiano. L’articolo 23, comma 13 del Codice Appalti stabilisce che un decreto del Ministero delle Infrastrutture dovrà fissare le modalità e i tempi di progressiva introduzione dell’obbligatorietà del Building Information Modeling per le amministrazioni e le imprese. Questo percorso andrà valutato “in relazione alla tipologia delle opere da affidare” e alla strategia “di digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche e del settore delle costruzioni”. Per scrivere materialmente il testo, il ministro Graziano Delrio ha messo in piedi una commissione di esperti, guidata da Pietro Baratono, provveditore alle Opere pubbliche di Lombardia ed Emilia Romagna ma, soprattutto, pioniere dell’utilizzo di questo sistema nella pubblica amministrazione italiana. In questi giorni il lavoro della commissione sta arrivando finalmente a conclusione. Per la fine di febbraio dovrebbe essere materialmente chiusa la scrittura del testo. Intanto, però, alcune linee di indirizzo stanno già emergendo e danno spunti molto interessanti sul futuro del settore.

Partiamo dal calendario degli obblighi, tenendo presente che si tratta di decisioni provvisorie, sulle quali c’è sempre la possibilità di un cambio di rotta. L’impostazione della commissione, per adesso, punta a un percorso lento ma di crescita costante per la Pa, partendo da un presupposto: il livello di formazione delle stazioni appaltanti (ma anche di imprese e professionisti) è ancora scarso. Per questo non è pensabile una fuga in avanti con un obbligo generalizzato già nei prossimi mesi. Meglio dare tempo al settore di adeguarsi, seguendo un calendario impostato in tre momenti ben individuati.

Il primo scatterà nel 2019: tra due anni i tempi saranno maturi per l’obbligo. Che, però, dovrebbe riguardare soltanto le grandissime opere, sopra la soglia di 100 milioni. Non saranno molte: secondo i dati del Cresme, nel 2016 sopra questo livello ci sono stati 26 bandi. La seconda fasesarà relativa al triennio 2019-2021. In questo arco di tempo gli obblighi si allargheranno anche ad altri soggetti, poco per volta. Seguendo, però, molto probabilmente un criterio legato alla complessità delle opere e non al loro valore: l’obbligo di usare il BIM, cioè, ci sarà solo per le costruzioni strategiche, con particolari standard di sicurezza, con un alto affollamento di persone ad utilizzarle.

Sul punto, emerge un’altra novità importante: ci sarà sempre una categoria di edifici semplici per i quali il BIM non sarà mai obbligatorio. Ad esempio, la corsia preferenziale ci sarà per i palazzi residenziali senza particolari problematiche di sicurezza. Dal 2022 in poi scatterà la terza fase, con il sistema a pieno regime. Sempre che, nel frattempo, non vengano portate ulteriori correzioni al testo che la commissione sta scrivendo in questi giorni.

(Fonte: Edilizia&Territorio)

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The Student Hotel a San Lorenzo, il progetto all’Ex Dogana: “Un nuovo cuore per la città”

The Student Hotel a San Lorenzo, il progetto all'Ex Dogana: "Un nuovo cuore per la città" Sulla mappa di Roma campeggia un "nuovo cuore" che 'copre' con il suo raggio d'azione il quartiere di San Lorenzo.
Hotel a San Lorenzo, il progetto all’Ex Dogana: “Un nuovo cuore per la città”

The Student Hotel a San Lorenzo, il progetto all’Ex Dogana: “Un nuovo cuore per la città”
Sulla mappa di Roma campeggia un “nuovo cuore” che ‘copre’ con il suo raggio d’azione il quartiere di San Lorenzo. Lo sguardo, e l’attenzione, è rivolto al centro della Capitale e ai suoi storici monumenti. Un incubatore di “vita innovativa”, un ‘living lab’, retto dalla filosofia “dell’incontro”, “dell’integrazione tra studenti stranieri e locali”, con “il mondo del lavoro” in una rete ideale che unirà Roma ad una “comunità internazionale che viaggia per l’Europa”.

The Student Hotel è pronto a trasformare l’Ex Dogana di via dello Scalo di San Lorenzo e da lì allungarsi a La Sapienza, “università da 150 mila iscritti”, investendo anche lo storico quartiere popolare da ormai qualche anno attraversato da una movida non sempre ben digerita e da operazioni urbanistiche e immobiliari, spesso dietro l’etichetta della ‘rigenerazione’, contestate dalla cittadinanza. Dopo l’annuncio dei mesi scorsi, questa mattina il progetto è stato presentato nei locali dell’Ex Dogana alla presenza del Ceo del ‘The Student Hotel Group’, Charlie MacGregor, del Director of Partnerships, Frank Uffen, dell’architetto Matteo Fantoni e di Sacha Camerino, Responsabile interventi di rigenerazione urbana di CDP Immobiliare srl (CDP Group).

La filosofia

“La filosofia dello Student Hotel è quella di far convivere diversi gruppi di persone” ha spiegato McGregor. Una comunità composta da “studenti locali e stranieri, professionisti, ospiti dell’hotel, lavoratori”. E la progettazione dello spazio, “fisico ma anche mentale”, sarà strettamente funzionale a questo pensiero creando “opportunità di sviluppo”. Acquistano così grande importanza gli spazi comuni “dedicati all’incontro”. Co-working, ristoranti, una cucina in comune, una palestra. “Sarà una struttura flessibile che può essere adattata nel tempo soprattutto al piano terra, pensato come un grande contenitore permeabile e accessibile anche dall’esterno” ha spiegato l’architetto Fantoni.

Tra le parole d’ordine anche la “sostenibilità” ambientale. “La struttura consumerà poco, sarà intelligente”. Pannelli solari sul tetto per produrre energia, una facciata che crea ombra alla parte esposta a Sud “per ridurre i carichi termici” e partenariato di natura pubblica e privata divenuto un punto di riferimento con l’Università di Wageningen (WUR), l’Università di Sapienza e la start-up Amphiro finalizzato alla riduzione del 20% del consumo di acqua. Come? Attraverso contatori Amphiro che verranno installati nelle docce dei nuovi edifici The Student Hotel e mostreranno i consumi di acqua ed energetici in modo tale che gli studenti possano monitorarli. Tale consapevolezza comporta la riduzione significativa dei consumi, la spiegazione.

Attenzione anche alla mobilità, vero tallone d’Achille di Roma. “Non abbiamo bisogno di auto” ha continuato McGregor. A servizio degli ospiti dell’hotel ci sarà un parco biciclette a disposizione con la speranza che il traffico romano sia sempre più sicuro per la mobilità ciclabile.

“L’impatto sul quartiere sarà minimo” si legge su una delle slide. “Ci siamo interrogati su come creare un dialogo con l’esistente” ha spiegato l’architetto Fantoni. L’atteggiamento verso il quartiere sarà ‘open’. “Una grande piazza sarà accessibile a tutti da via dello Scalo di San Lorenzo lungo la quale verrà mantenuto il vecchio edificio che corre lungo la strada” mentre per il secondo “ci piacerebbe includerlo ma ancora non sappiamo se sarà possibile”.

La proposta per la permanenza “sarà flessibile”. C’è chi resterà per qualche mese, per un periodo che va dai 5 ai 12 mesi, ci saranno i pernottamenti più brevi, di qualche settimana, e più tradizionali ospiti dell’hotel che resteranno nella struttura solo per qualche giorno. Una slide spiega come sarà organizzata la struttura: nel piano interrato il parcheggio per le biciclette, al pian terreno lo “spazio aperto” con ristoranti, una palestra, i co-working, e altri spazi “di incontro”. In un’ala della struttura le stanze dell’hotel, nell’altra le stanze dedicate agli studenti, divise tra ‘standard’ e ‘delux’ a seconda dell’altezza e della vicinanza al piano
da cui “si potrà avere una vista sul centro storico e sui suoi monumenti” subito sopra la cucina comune. Al piano più alto, infine, ci sarà la ‘student suite’ con tanto di cucina privata.
A portare avanti questa operazione “da 90 milioni di euro” non sarà solo lo Student Hotel Group. L’area è ancora di proprietà di Cassa depositi e prestiti Immobiliare che parteciperà alla joint-venture (senza però che sia stata creata una nuova società), finalizzata alla rigenerazione dell’area, insieme al gruppo olandese. Una volta perfezionata la fase burocratica con tanto di richiesta di permessi a costruire, in questo caso portata avanti solo da Cdpi, si valuterà se e come perfezionare la vendita. I tempi non sono certi. “Non dipende da noi. Il progetto è stato consegnato il 31 gennaio scorso in regione. Utilizzeremo il Piano Casa. E ora è in una fase istruttoria”.

Sorgente: The Student Hotel a San Lorenzo, il progetto all’Ex Dogana: “Un nuovo cuore per la città”

L’aeroporto di Venezia inaugura la nuova ala.

Photo credit Veneto Economia

Investimento di quasi 70 milioni, parte di oltre 300 negli ultimi 4 anni 

Sabato scorso il ministro dei Trasporti Graziano Delrio ha inaugurato la nuova ala dell’aeroporto di Venezia. Il terzo scalo intercontinentale italiano ha investito 68,6 milioni di euro per 11mila500 metri quadrati della nuova struttura al primo piano, dedicata a biglietterie, spazi commerciali e sala d’attesa.

Acciaio, vetro e grandi superfici rappresentano le caratteristiche di uno spazio architettonico che, insieme all’apertura della darsena e del moving walkaway, fanno del Marco Polo un nuovo aeroporto, come da piano di sviluppo 2012-2021 e contratto di programma con Enac. Il presidente di Save, Enrico Marchi, ha ricordato che nel prossimo quinquennio gli investimenti saranno nell’ordine di cento milioni ogni anno.

Ora prende il via il secondo periodo del piano: negli anni 2017 – 2021 saranno impiegati 540,6 milioni di euro, per un nuovo ampliamento dell’aerostazione passeggeri e l’adeguamento delle infrastrutture di volo. Marchi ha sottolineato il rispetto dei tempi delle opere eseguite in questi primi quattro anni, per una somma complessiva che supera i 300 milioni e un impegno economico a totale carico di Save. “Senza oneri per lo Stato, che riceve invece 20 milioni l’anno per il credito d’imposte e 10 milioni per le concessioni”, riporta Veneziatoday.it.

Sul territorio, Save distribuisce oltre 150 milioni di euro in termini di ricchezza generata. Novemila persone lavorano in aeroporto.

Sorgente: L’aeroporto di Venezia inaugura la nuova ala (GuidaViaggi.it)

Hubgrade, dove l’intelligenza incontra l’efficienza

Centro di coordinamento Siram, società del gruppo Veolia Sech Building
Centro di coordinamento Siram, società del gruppo Veolia


Siram, società del gruppo Veolia, opera nella gestione integrata dell’energia e dei servizi tecnologici per il mercato pubblico e privato, nella sanità, pubblica amministrazione, scuole e istituti d’istruzione, residenziale, terziario e industria. Siram interviene su edifici, impianti e progetti nuovi o da riqualificare aumentandone l’efficienza complessiva con l’obiettivo di ridurre il consumo energetico.

Hubgrade Smart Monitoring Center è il centro di monitoraggio smart dell’energia, gestito dal team Siram, che monitora e analizza i dati real-time al fine di garantire il miglioramento degli impianti. Tra i clienti che utlizzano la soluzione Siram, si possono citare l’Ospedale Policlinico di Milano, l’aeroporto Save di Venezia e l’azienda tessile Mantero. Ne parliamo con Massimo Rovati, direttore tecnico di Siram.

Com’è nato il progetto Hubgrade?
Veolia ha introdotto una metodologia basata sul concetto di utilizzare un centro remoto in cui l’andamento energetico viene monitorato, elaborato e ottimizzato: il fatto di disporre di un centro dedicato che analizza ma non opera direttamente migliora la prestazione energetica in quanto spesso chi opera sul campo non dispone dei tempi e dei modi per analizzare mentre con un’organizzazione che prevede un’analisi distinta dall’operatività si incrementa l’efficacia complessiva. Viene così garantita la qualità del servizio e la continuità assicurando il funzionamento degli impianti. Il servizio Hubgrade di Veolia consiste quindi nel monitoraggio, analisi e reporting di energia: è supportato da esperti Energy Analyst ed è volto al miglioramento continuo del “saving” energetico. Veolia lo usa in tutta Europa per la gestione e la segnalazione delle prestazioni energetiche alla propria attività e ai nostri clienti, fornendo un servizio multilivello per l’energia e la gestione dei dati. Hubgrade dispone di oltre 2000 siti client collegati in tutta Europa.

Può essere considerato un servizio smart energy nato nell’ambito IoT? Si, in quanto è in grado di introitare dati di ogni tipo, anche quelli provenienti da singole apparecchiature.

Quali sono i target di mercato e quali i vantaggi?
Il sistema Hubgrade può essere applicato ad ogni edificio/impianto sia civile che industriale che abbia un significativo fabbisogno di energia: Ad esempio tutte le società che hanno ottemperato alla redazione di diagnosi energetiche ai sensi del dlgs 102/14, dovranno ripetere la diagnosi entro 4 anni dalla prima, basandosi su dati operativi reali: in questo caso hubgrade può fornire tutto quanto necessario per la nuova scadenza. In più un’azienda che si affida al servizio Hubgrade arriva a possedere tutti i requisiti per poter certificarsi UNI CEI EN ISO 50001 “Sistemi di gestione dell’energia” che è la versione ufficiale italiana della norma internazionale ISO 50001. La norma specifica i requisiti per creare, avviare, mantenere e migliorare un sistema di gestione dell’energia.

Quali sono le tecnologie sulle quali è basato il servizio smart energy di Hubgrade?
Il sistema può raccogliere i dati sia tramite il Building Management System (BMS) esistente sia con installazione di nuova sensoristica. Con il “metering”, esistente o integrato con nuova strumentazione, si effettua la raccolta di dati e informazioni tecniche dal sito. Queste informazioni consentono la formazione del database utilizzato per l’analisi, la classificazione e l’elaborazione dei vari indicatori. Nel contempo si attivano le connessioni necessarie per remotizzare le grandezze rilevate sull’impianto (energie consumate, temperature, tec.), in modo da poter disporre dei dati in tempo reale presso il centro Hubgrade di monitoraggio remoto. Viene quindi elaborata la modellizzazione energetica del sito ed effettuate simulazioni di funzionamento sino a definire la “baseline” di riferimento del comportamento energetico ottimale del sistema edificio/impianto; Le elaborazioni forniscono i dati energetici di base utilizzati per il monitoraggio e, se necessario, per approntare azioni correttive/migliorative.

Quali sono i prerequisiti per l’implementazione del servizio?
Ogni sito che consuma energia può usufruire del servizio. I requisiti necessari sono la predisposizione di sistemi di misura (metering), esistente o da installare e la realizzazione della connettività (tutti i dati “viaggiano” su web).

Monitoraggio e analisi dei dati introducono anche un livello di automazione decisionale al fine di un efficientamento energetico?
Il centro di monitoraggio provvede alla verifica continua sia dei parametri di funzionamento che dell’andamento del profilo di consumo energetico in rapporto alla “baseline” redatta su base almeno oraria in fase di analisi energetica iniziale e costantemente aggiornata al variare della configurazione impiantistica. Sulla base del monitoraggio effettuato il centro invia le modifiche e/o verifiche da apportare alla regolazione per ottimizzare il funzionamento. L’operatore sul campo ha il compito di introdurre le modifiche al BMS. In questo modo si realizza una “regia energetica” continua da parte di analisti esperti.Inoltre l’accesso al sistema è consentito a tutti gli attori, secondo livelli diversi, in modo accedere a tutti i dati e alla valutazione in tempo reale delle performance operative degli impianti. La reportistica è volta ad evidenziare indicatori del livello delle prestazioni energetiche ed ambientali.


Enea: meno consumi, più efficienza
L’efficienza energetica nella Pubblica Amministrazione
L’Efficienza energetica nella Pubblica Amministrazione è un tassello molto importante per la questione energetica del nostro paese. Sia la Direttiva 2006/32/CE che la più recente Direttiva 2012/27/UE assegnano un ruolo fondamentale alla Pubblica Amministrazione (P.A.), che con i propri comportamenti deve fungere da esempio verso il cittadino e le imprese sviluppando un mercato per interventi di efficienza energetica.
L’ultima analisi condotta da Enea sullo stato delle gestione energetica negli enti locali ha evidenziato soprattutto una carenza di dati. “Non è pensabile una corretta gestione degli edifici senza un adeguato supporto di misurazioni, dati completi e organizzati, spiegano i tecnici dell’Enea aggiungendo che è opportuno considerare l’adozione di un sistema di gestione dell’energia in accordo con la norma ISO 50001, in grado di risolvere buona parte di queste problematiche e di favorire un approccio quantificato e organizzato all’uso dell’energia.
In Italia – secondo stime Enea – sono oltre 13.000 gli edifici della Pubblica Amministrazione e consumano ogni anno 4,3 TWh di energia per una spesa complessiva di 644 milioni di euro. Di questi, circa il 20% è quello più energivoro con un consumo pari a 1,2 TWh e una spesa di 177milioni di euro. Si stima che gli interventi sull’involucro edilizio e sugli impianti permetterebbero una riduzione dei consumi di circa il 40%, con un risparmio di 73 milioni di euro. L’investimento richiesto, secondo le stime Enea, ammonta a 1.100 milioni di euro (158 milioni euro/anno). Sul fronte scuola, le strutture pubbliche sono 43.000 e consumano ogni anno 9,6 TWh per una spesa di 1,3 milioni di euro. Anche in questo caso circa il 20% delle strutture è responsabile dei maggiori consumi energetici, pari a 2,6 TWh, per una spesa di 351milioni di euro l’anno. Intervenendo su questi edifici la riduzione dei consumi sarebbe pari al 45%, con un risparmio di 169 milioni di euro. Infine, gli edifici della PA centrale (come uffici, caserme, carceri e presidi PS) sfiorano invece i 3000 immobili. In questo caso oltre la metà del totale dei consumi, pari a 1,1 miliardi di kWh, è imputabile al gas naturale, mentre poco più di un terzo all’energia elettrica. In generale, i consumi energetici per il riscaldamento (metano, gasolio, carbone e GPL) ammontano ad oltre 730 milioni di kWh.

Sorgente: Hubgrade, dove l’intelligenza incontra l’efficienza | ImpresaCity.it

Mps: passo indietro dei fondi su cartolarizzazione Npl. Atlante II valuta se proseguire da solo, tempo fino al 28 giugno

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Mps: passo indietro dei fondi su cartolarizzazione Npl. Atlante II valuta se proseguire da solo, tempo fino al 28 giugno

Il fondo Atlante II è rimasto solo al tavolo delle trattative per l’acquisto dei 26 miliardi lordi di Non-performing loan (Npl) del Monte dei Paschi di Siena. I fondi di private equity interessati, Fortress ed Elliott, si sono sfilati dalla trattativa riguardante la cartolarizzazione degli Npl del Monte al termine della riunione svoltasi venerdì scorso a Milano.

La frattura fra i fondi internazionali e l’istituto è dovuta al mancato accordo su termini e condizioni. Infatti, Fortress ed Elliott hanno tentato fino all’ultimo di spuntare un prezzo di cessione del portafoglio Npl più basso del 20% previsto, valutazioni che Mps ha ritenuto inaccettabili pur invitando gli operatori alla calma, anche perché “c’è tempo fino al 28 giugno per trattare”, ha ricordato questa mattina Reuters; Mps, infatti, ha concesso un’esclusiva ai fondi sino a quella data.

Dopo la notizia alla Borsa di Milano si è registrato un netto peggioramento dell’indice dei titoli bancari, che anche quest’oggi viaggiano un passo indietro rispetto all’indice FTSE Mib. Fortress ed Elliott si sono sfilati perché non è stato trovato un, ha spiegato questa mattina l’agenzia Reuters, citando una fonte interna, “Atlante II sta valutando se proseguire da solo“.

Secondo gli analisti infatti il fondo gestito da Quaestio Sgr ha una capienza residua di 1,7 miliardi circa (di cui 450 milioni che potrebbero essere destinati al salvataggio delle due banche venete) e ora potrebbe chiudere l’operazione da solo subentrando agli investitori esteri usciti di scena.

L’operazione sembra fattibile “anche perché la struttura della cartolarizzazione non è in discussione”, ha commentato un analista finanziario interpellato da Borse.it, “tuttavia la Bce vuole certezza sul prezzo di cessione degli Npl in modo da sapere quanto sarà la perdita (per Mps) e ha chiesto un impegno vincolante da parte dei compratori”.

Il tempo stringe, con la scadenza fissata al 28 giugno prossimo: poco più di una settimana a disposizione per raggiungere un accordo, e capire davvero se ci sono soggetti intenzionati a ritirarsi dalla trattativa.

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Sorgente: Mps: passo indietro dei fondi su cartolarizzazione Npl. Atlante II valuta se proseguire da solo, tempo fino al 28 giugno – FinanzaOnline

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