Il nuovo, colossale progetto cinese di una piattaforma infrastrutturale lanciata da Oriente a Occidente rivaluta il ruolo dei porti italiani
shadow
Zeno D’Agostino, presidente del porto di Trieste, la pensa così: «Non so ancora quali trasformazioni la Via della Seta porterà nell’economia dell’Adriatico e in quali tempi ma per ora so che abbiamo la fortuna di essere qui, nel posto giusto». Siamo dunque alla vigilia di un nuovo corso della storia adriatica? Quel corridoio che negli anni ‘80 aveva affascinato intellettuali come Giorgio Fuà, e li aveva portati a descrivere un nuovo modello di rapporto tra economia e società, si vede portare in dono dalla globalizzazione una nuova grande chance? Non è facile rispondere a queste domande perché nella società adriatica il livello di conoscenza dei problemi è molto disomogeneo, le informazioni non circolano così largamente tra le élite del territorio o quantomeno ogni segmento di classe dirigente appare concentrato su una tessera del puzzle e sembra non avere la visione di insieme. E le tessere obiettivamente sono tante.
Ci sono le trasformazioni di ieri che hanno visto lo spopolamento della montagna, l’urbanizzazione della costa e gli svariati disastri che ha lasciato dietro di sé, città come Rimini che hanno attirato nuovi residenti più d’ogni altra, l’Abruzzo che a sorpresa è uscito dall’obiettivo 1 simbolo delle aree depresse. E poi c’è l’agenda dell’oggi con un’autostrada, la A14, che nel percorso da Bologna a Taranto grazie ai dati del traffico dei Tir ci racconta le differenze di risposta che i vari segmenti della dorsale adriatica hanno saputo dare alla crisi. C’è, stavolta in prospettiva, un dialogo da aprire da Ovest guardando ad Est, tra le imprese più strutturate dell’Emilia-Romagna, delle Marche e dell’Abruzzo con l’entroterra balcanico per costruire con Paesi come la Croazia, la Serbia, l’Albania e le altre repubbliche relazioni forti come quelle che i tedeschi sanno tessere. C’è poi, per concludere questa rapida rassegna, la suggestione della Via della Seta con i cinesi che premono per arrivare in Europa e per costruire dopo lo storico ingresso nel Wto la seconda fase della loro globalizzazione. La sintesi tra tutte queste tendenze è difficile e anche in questo caso – come abbiamo visto per il ricco Nord – i circuiti amministrativi e associativi mostrano tutte le loro lacune e frammentazioni. E così si rischia di vagabondare tra nostalgie e sogni, tra un passato che non può essere archiviato, un post-terremoto che condiziona il presente e un futuro indefinito. Con l’aggravante che ogni protagonista conosce un pezzo della storia, non l’insieme. Gli anglosassoni direbbero che abbiamo un deficit di governance: è evidente la sfasatura tra la forza dell’economia dei flussi e la lentezza dei «tavoli» o delle cabine di regia.
Quel 20% di imprese
Cominciamo dalle imprese. Valeriano Balloni, economista e vicepresidente dell’Istao, sta lavorando proprio in questi giorni a un rapporto su quelli che chiama specialized supplier, fornitori specializzati. Imprese che hanno saputo inserirsi da protagonisti nelle catene del valore internazionale tanto da diventare «interlocutori creativi» della Mercedes, della Volkswagen e delle nostre multinazionali tascabili. «La loro forza è di essere combinatori di tecnologia, è l’evoluzione migliore del modello Nec di Fuà, non abbiamo però il dato esatto di quanti siano». A spanne si può azzardare che rappresentano al massimo il 20% del sistema delle imprese, il resto vegeta. Sono troppe le aziende che faticano a innovare il loro modello di business e per di più hanno vissuto anche i contraccolpi economici del terremoto. «Il vero problema è il capitale umano», ammonisce Balloni e si capisce come la modernizzazione del modello Adriatico da questo versante sia ancora ai preliminari.
Analizzando i dati del traffico di Tir sull’autostrada A14 la segmentazione di cui parla Balloni viene fuori scandita dai 743 chilometri che si susseguono. Da Bologna a Rimini il traffico è sostenuto quasi a livelli nordestini e riflette l’attività di aziende snelle, innovative e internazionalizzate. Da Rimini fino a Pescara il traffico è in crescita grazie alla ripresa ma il modello è più autarchico, più legato a sistemi di fornitura a corto raggio e in qualche maniera condizionato dai disastri del localismo bancario. Dove invece la crescita è più impetuosa è in Puglia, sulla Canosa-Taranto: +4,6% di Tir in un anno a dimostrazione di come l’abbinata tra turismo e sistema agro-alimentare abbia la capacità di generare anche traffico pesante.
Da Ovest verso Est
Adrion, invece, è il programma della Ue per l’area adriatico-jonica e vede coinvolti i Paesi membri (Italia, Grecia, Slovenia e Croazia) più altri come Macedonia, in tutto 31 regioni. Gli obiettivi come in questi casi sono ambiziosi e vanno dalla costruzione materiale dei corridoi infrastrutturali all’ambiente e persino al trasferimento di modelli di costruzione delle istituzioni. Patrizio Bianchi, è assessore al lavoro e alle politiche europee della regione (l’Emilia-Romagna) che ha il coordinamento di Adrion ed è convinto che il progetto in questione oltre a rafforzare la porta Est dell’Europa, ancorandola alla parte più sviluppata dell’economia industriale continentale – Germania e Italia del Nord -, possa dotare i sistemi produttivi locali di nuove relazioni con i Paesi balcanici. «Finora esistono singole iniziative italiane in Croazia, Slovenia e soprattutto in Albania, non c’è ancora la consapevolezza di questa opportunità. Eppure si tratta di economie che si sono messe in moto anche a ritmi interessanti. Dovremo muoverci». Qualche esperienza-pilota, come detto, esiste: gli emiliani sono andati in Albania non solo con iniziative industriali ma anche con strutture scolastiche; la concorrenza diretta dei tedeschi, fortissimi almeno fino in Slovenia, infatti passa anche da qui dai modelli di istruzione e dalla diffusione delle scuole tecniche. Cosa si può pensare di costruire da qui almeno entro il 2020? Nel sistema industriale adriatico non c’è ancora consapevolezza di questa opportunità ma Paolo Merloni, presidente di Ariston Merloni Group, ci crede: «Le economie si sviluppano per cerchi concentrici e i Balcani sono il nostro vicino di casa, ci sono persino delle comunanze. Per le nostre Pmi è quasi un tema obbligato e francamente mi sembra una prospettiva più concreta rispetto alla Via della Seta». Chi parla può vantarsi di aver continuato a credere nel modello adriatico perché ha costruito una multinazionale tascabile presente in 37 Paesi del globo, «ma abbiamo lasciato la testa, i centri di competenza e molte attività manifatturiere qui».
Il rebus della Seta
Arriviamo alla Via della Seta. Passando per il mare Adriatico le merci cinesi risparmierebbero rispetto alla rotta su Rotterdam la bellezza di 7 giorni e almeno un 10% di costi e giova ricordare come Pechino abbia già conquistato il porto del Pireo. I nuovi progetti riguardano sia un’ipotetica ferrovia nell’entroterra balcanico sia il potenziamento del traffico via mare che avrebbe come interlocutori obbligati i nostri porti di Ravenna, Venezia e Trieste oltre a quelli di Capodistria e Fiume. Ma i giochi non sono ancora fatti e Rotterdam non solo non si rassegna a perdere ma gode dell’appoggio tedesco. Ergo non è facile oggi assegnare alla Via della Seta una tempistica certa, si può dire solo che riguarderà gli anni Venti. Il guaio è, come osserva Paolo Perulli il sociologo che ci sta accompagnando in quest’Italia in Movimento, che «il mondo adriatico non è pronto a recepire questa dirompente novità». Anche perché sta pian piano emergendo che i cinesi non cercano solo porti e infrastrutture ma stanno posando le reti della loro seconda globalizzazione dopo quella che li condusse allo storico ingresso nel Wto. E per ricavare queste sensazioni bisogna interpretare i segnali dei maggiorenti di Pechino e persino le cartine dei mari e delle rotte che disegnano le autorità. Chi per lavoro ha il compito di dialogare ogni giorno con loro come D’Agostino si è fatto l’idea che in ballo ci sarà anche una sorta di integrazione con l’industria europea. I cinesi in alcuni settori hanno sovracapacità produttiva e sarebbero ben felici di industrializzare alcune zone dell’Europa e in questo caso la collaborazione con l’Italia dovrebbe prevedere giocoforza un terzo lato del triangolo, i territori balcanici. «Premetto che oggi i porti non sono più quelli di una volta. Sono dei sistemi che hanno all’interno servizi, manifattura e persino finanza e di conseguenza sono uno straordinario punto d’osservazione – spiega il presidente del porto di Trieste – E comunque con i cinesi non si parla solo di logistica e merci ma di integrazioni con i territori organizzati. La nuova Via della Seta mi pare soprattutto questo». Di conseguenza per tutto l’Adriatico rappresenta una sfida prima di tutto a se stesso e si parte decisamente in salita. «Il mare è ricchezza e lo hanno capito Shanghai, Singapore, New York. In Italia invece è sinonimo di depressione e infatti da noi invece le città portuali hanno tutte dei problemi e non solo le adriatiche» chiude D’Agostino.
Speciale infrastrutture: India-Usa, Washington si unisce all’opposizione di Nuova Delhi alla “nuova Via della Seta”
Nuova Delhi, 04 ott 18:00 – Agenzia Nova – L’amministrazione del presidente Usa Donald Trump sostiene l’India nella sua opposizione all’ambizioso progetto cinese One Belt One Road, la “nuova Via della Seta” con cui Pechino punta a sviluppare le infrastrutture e gli scambi commerciali a cavallo tra Europa ed Asia, e in particolare al tratto sino-pakistano del progetto, il Corridoio economico Cina-Pakistan (Cpec). “In un mondo globalizzato esistono tante cinture e tante strade, e nessun paese dovrebbe arrogarsi l’autorità di definirne una sola” ha dichiarato ieri il segretario della Difesa usa James Mattis, nel corso di una audizione di fronte alla commissione Servizi armati del Senato federale statunitense. Mattis ha fatto riferimento al passaggio del Corridoio Cina-Pakistan lungo territori del Kashmir rivendicati da Islamabad e Nuova Delhi, ed ha affermato che Pechino non dovrebbe forzare il progetto attraverso territori su cui gravino dubbi in termini di sovranità.
Il segretario Usa ha affrontato la questione su richiesta del senatore Charles Peters, secondo cui il progetto One belt One Road “punta a garantire il controllo della Cina sugli interessi continentali e marittimi, con l’obiettivo di estendere un dominio sull’Eurasia e sfruttarne le risorse naturali”. L’India ha disertato il Forum sulla “nuova Via della Seta” organizzato da Pechino lo scorso maggio proprio in segno di protesta contro il progetto da 60 miliardi di dollari del Corridoio economico Cina-Pakistan, che Nuova Delhi accusa di travalicare il “Kashmir occupato dal Pakistan”.
La “nuova Via della Seta” è l’ambizioso progetto attraverso cui Pechino mira a creare solidi rapporti industriali con i paesi che saranno coinvolti. Lanciata dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013, l’iniziativa One Belt One Road (Obor) punta a creare una rete di infrastrutture di trasporto, di comunicazione e di scambio che coinvolge al momento 64 paesi oltre alla Cina – circa 4,5 miliardi di persone –, su un’area che si estende fra Asia, Europa e Africa. L’obiettivo di Pechino è completare il tracciato principale entro il 2049; a sostegno del progetto ci sono attualmente tre istituzioni finanziatrici, capeggiate dalla Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), una banca multilaterale a cui hanno aderito finora quasi 100 paesi. I progetti ammessi al finanziamento nell’ambito del progetto Obor aprono enormi opportunità di business nei settori dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell’energia, oltre che in settori trasversali.
Come ha fatto l’Iran a diventare il principale alleato della Cina in Medio Oriente? E’ ormai un dato di fatto che negli ultimi mesi Teheran si è trasformata nella punta di diamante della nuova Via della Setacinese. Il mega-progetto infrastrutturale attraverso cui il Presidente Xi Jinping sta cercando di costruire una rotta commerciale preferenziale per collegare in maniera più efficiente l’Asia all’Europa.
Le origine dell’intesa sino-iraniana
La special relationship tra Iran e Cina non è certo nata ieri. I primi contatti tra queste due grandi civiltà risalgono al 138 a.C, quando l’inviato cinese Zhang Qian, dopo aver attraversato l’altopiano dell’Asia Centrale a cavallo, si ritrovò ai confini dell’Impero Persiano. L’amicizia millenaria che lega Pechino a Teheran è viva ancora oggi. Anzi, un contesto geopolitico non troppo favorevole ha spinto i due paesi ad avvicinarsi ulteriormente.
Gli interessi cinesi in Iran
Per la Cina l’Iran è il partner ideale per portare avanti l’ambizioso progetto della nuova Via della Seta bypassando nazioni problematiche come Pakistan, Afghanistan e Russia. Questo non significa che la Pechino non voglia più avere rapporti con tre stati cui in realtà è molto legata, ma di certo poter contare su un piano B qualora qualcosa andasse storto è utile. Per l’Iran, invece, la Cina è importante non solo in quanto primo partner commerciale e generoso importatore di petrolio, ma anche per contrastare l’isolamento cui la comunità internazionale continua a relegarla, prima con le sanzioni poi con la nuova diatriba che ha portato i paesi arabi a isolare il Qataranche perché troppo vicino all’Iran.
Non è certo un caso che il primo Capo di Stato straniero che ha visitato l’Iran dopo la cancellazione delle sanzioni sia stato proprio Xi Jinping, che ha approfittato dell’occasione per impegnarsi a far aumentare l’interscambio commerciale tra le due nazioni da 55 a 600 miliardi di dollari in appena dieci anni.
La presenza cinese in Medio Oriente
Nonostante la Cina nell’ultimo periodo stia cercando di investire molto in Medio Oriente (l’ultimo accordo ha coinvolto l’Arabia Saudita, dove Pechino si è impegnata a costruire droni), non foss’altro per creare le condizioni per portare avanti la sua Via della seta terrestre, l’Iran resta il perno dell’avanzata cinese verso l’Occidente. Se Pechino vuole convincere investitori cinesi e stranieri a sostenerla nella sua nuova avventura, ha bisogno di trovare un modo per garantire un minimo di stabilità in un’area particolarmente turbolenta. Monitorare l’Iran legando a doppio filo il suo destino economico a quello della Cina potrebbe sembrare una buona strategia per raggiungere questo risultato. Ancora, la speranza di Pechino è che la Via della Seta non solo renda più efficienti le rotte commerciali terrestri verso l’Europa, ma permetta anche ai paesi che da essa verranno attraversati di prosperare, trasformandosi in mercati appetibili per l’export cinese.
I rischi della strategia cinese
Attenzione però: tutto questo non significa che possiamo fidarci della Cina. Anzi, considerando come si è mossa in Pakistan verrebe da pensare il contrario. Approvando la costruzione del corridoio economico sino-pakistano e accettando, senza consultare l’India, che quest’ultimo passasse attraverso il Kashmir pakistano,Pechino non ha fatto altro che creare nuove tensioni che rischiano di far scoppiare un conflitto sull’Himalaya, visto che l’India non ha nessuna intenzione di accettare una così forte interferenza cinese in Asia meridionale. Come se non bastasse, anche ammettendo che l’alleanza commerciale col Pakistan sia stata rilanciata per controllare meglio un paese molto problematico immaginando che una forte interdipendenza economica fosse sufficiente per tenerlo a bada, questa strategia di contenimento si è rivelata fallimentare nei confronti della stessa Cina, come ha dimostrato la recente uccisione di due insegnanti cinesi rapiti in Pakistan.
Scenari possibili
Ecco perché, nonostante il rafforzamento del legame tra Cina e Iran sia economicamente utile per entrambi e per il resto della regione, le incognite dell’alleanza impediscono di dormire sonni tranquilli. Un’esclusione diretta di Russia e Pakistan dalla Via della seta potrebbe creare risentimento e nuove animosità, mentre per quel che riguarda l’Iran, per quanto la Cina stia cercando di approfondire le relazioni con tutti gli altri paesi del Medio Oriente, allineandosi in maniera netta con Teheran Pechino potrebbe ritrovarsi in una posizione geopolitica difficile.
In attesa che qualche altra nazione si ribelli, però, Pechino ne approfitta. Consapevole che, una volta create le infrastrutture del caso e rinsaldata la sua posizione strategica in Asia minore, diventerà impossibile costringerla ad arretrare.
La Cina è pronta ad aprire un nuovo collegamento ferroviario con l’Italia. Le autorità logistiche della ferrovia che collega Chongqing a Duisburg (Yu’Xin’Ou), una delle prime strade ferrate per il trasporto delle merci dal Sud Ovest della Cina all’Europa, stanno valutando la possibilità di creare un punto di smercio a Milano. Lo ha detto Li Bin, vice direttore alla logistica della municipalità di Chongqing, megalopoli sudoccidentale da oltre 30 milioni di abitanti, snodo strategico dell’iniziativa Belt and Road (Una Cintura una Via, 一带一路), il progetto infrastrutturale da oltre cento miliardi di dollari lanciato dal presidente Xi Jinping nel 2013 per integrare l’Asia e l’Europa via terra e via mare.
Dopo l’annuncio del nuovo trasporto merci a partire da settembre da Chengdu a Pavia, passando da Varsavia, e che servirà il capoluogo lombardo, i piani di espansione tranviaria di Pechino con l’Italia non si fermano: “Vogliamo arrivare a Milano entro quest’anno”, ha detto Li Bin all’AGI nel corso di una intervista organizzata da Radio Cina Internazionale con altri giornalisti italiani. “Abbiamo avuto contatti preliminari con il consolato italiano e apriremo presto un canale ufficiale con Trenitalia”.
Chilometro zero della ferrovia YuXinOu
La linea attraversa sei Paesi ed è lunga 11,170 chilometri
Inaugurata il 18 gennaio 2011, lunga 11,170 chilometri, la ferrovia Yu’Xin’Ou (渝新欧) collega Cina ed Europa in dodici giorni invece che in cinquanta via nave. Attraversa sei Paesi: Cina, Kazakhstan, Russia, Bielorussia, Polonia, Germania. “La compagnia logistica sta creando centri di distribuzione in Turchia, Iran, Ungheria, Turkmenistan, e Kirghizistan. In Europa abbiamo già creato diversi collegamenti. Milano potrebbe diventare un centro di smercio strategico”, ha sottolineato Li. Dalla Polonia i treni possono proseguire per l’Ungheria oppure deviare verso l’Italia attraverso la diramazione che passa da Belgrado.
La conferma dell’interesse cinese a investire sulle ferrovie italiane arriva dal console italiano di Chongqing, Sergio Maffettone: “Stiamo spingendo le autorità che gestiscono la ferrovia intercontinentale a visitare Milano, Trieste, Verona, per verificare la sede migliore per l’apertura di un ramo della linea nel Sud Europa”. L’interesse c’è. Una data non ancora. Il nome cinese Yu’Xin’Ou è un bel programma: “Xin” (新) indica il Xinjiang e “Ou” (欧) l’Europa (Ouzhou), mentre “Yu” (渝) è l’abbreviazione di Chongqing derivante dall’antico nome del fiume Jialing, che l’attraversa insieme allo Yangzte. Il carattere ha il doppio significato di “scorciatoia” e “cambiamento” e suona oggi come un lasciapassare.
Perché raggiungere l’Italia via terra diventa strategico per Pechino
Milano, Trieste o Verona. La posizione dell’Italia nel Mediterraneo è strategica per Pechino, che dopo aver comprato il Pireo sta cercando nuovi itinerari d’accesso all’Europa. Proprio nei giorni scorsi una delegazione del Ministero dei Trasporti cinese ha fatto tappa a Trieste in occasione del 14th Implementation Meeting of Eu-China Maritime Agreement (10-12 luglio), confermando l’impegno della Cina a valutare un investimento sui porti italiani, come emerso nel corso della recente partecipazione del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni al Forum internazionale di Pechino sulla Via della Seta (14-15 maggio).“La leadership cinese ha dichiarato esplicitamente l’intenzione di volere investire su Trieste e Genova. Avverrà. C’è una data x; c’è un impegno”, aveva affermato il presidente del Consiglio. E non c’è concorrenza con il porto del Pireo: “Sono progetti diversi che possono essere sviluppati in modo diverso e parallelo”.
Chilometro zero della ferrovia YuXinOu
Gentiloni ha dunque garantito all’Italia l’ingresso a pieno titolo nella Nuova Via della Seta. Del resto la partecipazione italiana potrebbe fruttare al fisco incassi per circa un miliardo e mezzo di euro. Il governo italiano vuole offrire ai cinesi un’alternativa alla ferrovia che Pechino ipotizza di costruire per collegare il porto greco all’Europa attraverso i Balcani. L’Italia suggerisce a Pechino che è meglio sfruttare i sistemi portuali e ferrati già esistenti, e già pronti: come Trieste. “La sua presenza a Pechino – ha sottolineato l’ambasciatore italiano Ettore Sequi – ha dato un segno plastico dell’interesse e della serietà con cui l’Italia guarda a questo progetto”. Porti e ferrovie rientrano nella stesso disegno. Non sono in concorrenza: servono mercati diversi. Per quei prodotti di valore che devono essere spediti velocemente, quali elettronica e auto di lusso, il treno è più conveniente della nave. “Si risparmiano circa 35-40 giorni”, stima Li Bin, che ci riceve nel suo ufficio in via del Popolo nel centralissimo distretto di Yuzhong. “Il treno è perfetto per i beni di nicchia dove il costo del trasporto incide sul prezzo finale”, spiega Maffettone. Chongqing ha una fortissima industria automobilistica, l’anno scorso è cresciuta dell’11,35%. Fiat e Iveco sono presenti con investimenti produttivi da 8 anni. Maserati punta a una crescita del fatturato del 47% quest’anno.
Li Bin, vice direttore alla logistica della municipalità di Chongqing
L’apertura di uno scalo ferroviario di Chongqing in Italia “non solo darebbe un forte impulso all’esportazione del Made in Italy in Cina”, ha dichiarato Maffettone “ma entrerebbe nella strategia dell’Italia a livello nazionale che punta a valorizzare il sistema portuale. La visita del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio al seguito del presidente Mattarella, nel febbraio scorso, ci fa sperare che questa collaborazione crei delle concrete opportunità per le nostre imprese sia sul piano della logistica sia sul piano del commercio”.
Porta di ingresso al distretto di Liang Jiang, nella nuova aerea di libero scambio di Chongqing – Riproduce il carattere Chuang 闯 ‘entrare con coraggio’
Una nuova ragnatela di infrastrutture
Le merci viaggiano via terra sfruttando la nuova ragnatela di infrastrutture che la Cina sta costruendo. Le rotte si moltiplicano: ci si muove da Chengdu a Rotterdam, da Chengdu a Lodz, da Suzhou a Varsavia, da Zhengzhou ad Amburgo, da Yiwu a Madrid e oggi anche a Londra. In tutto sono circa 50 le linee che si diramano da queste rotte e 22 le città cinesi collegate. Nel dicembre dell’anno scorso il Consiglio di Stato ha annunciato un nuovo piano di investimento di 3,5 trilioni di yuan (503 miliardi di dollari) entro il 2020 per costruire 30mila chilometri di nuove linee ad alta velocità che andranno ad aggiungersi agli attuali 19mila.
I cinesi di Chongqing non hanno una roadmap, stanno studiano le alternative. Verona è interessante per la direttrice Brennero. Ma si guarda soprattutto a Milano e a Trieste.
Magazzinieri
La lombardia è la regione più amata dai cinesi
Tra il 2000 e il 2016, l’Italia si è piazzata al terzo posto tra le destinazioni degli investitori cinesi nel vecchio continente, a quota 12,8 miliardi di euro, dietro la Gran Bretagna (a 23,6 miliardi) e la Germania, in seconda posizione a 18,8 miliardi di euro. Basta citare alcune tra le maggiori operazioni: ChemChina su Pirelli, Hutchinson Whampoa su H3G, Shanghai Electric su Ansaldo. E poi ancora: il calcio, prima l’Inter e poi Milan. E poi ancora, Lenovo e Huawei. Al 2016 “sono 168 gli investitori cinesi in Italia, in crescita del 7%, e 74 le società di Hong Kong, per un totale di 242 gruppi”, dice all’AGI Alberto Rossi, responsabile Marketing Operativo e Analista CeSIF, Centro Studi per l’Impresa della Fondazione Italia Cina. Secondo il rapporto annuale Cina 2017 “le aziende italiane partecipate sono 509 e fatturano 12,2 miliardi di euro, occupando 21,501 dipendenti. Di queste, il 43% sono lombarde, in crescita rispetto al 38,3% del 2015”. La Lombardia si conferma dunque la regione più amata dai cinesi. Seguono Lazio (16,6%), Emilia Romagna e Veneto (7,3%).
L’attrattività di Milano per gli investitori cinesi è presto spiegata. “La Via della Seta non è solo un progetto logistico-infratrutturale”, ha detto Rossi. La ricerca dei terminali marittimi e terrestri è la prima tappa di un piano più ampio: “Belt and Road è soprattutto il progetto di nuova globalizzazione che punta a tutelare gli interessi cinesi all’estero”. Si tratta chiaramente di una visione che apre numerose opportunità per i porti e le ferrovie. Ma attenzione: è sbagliato limitarsi all’idea che la Cina stia cercando solo nuove rotte commerciali. “Pechino è nel pieno del processo di conversione del modello economico da una eccessiva dipendenza alle esportazioni a una maggiore promozione dei consumi interni. Risultato, l’export incide sempre meno sul tasso di crescita del Pil: l’anno scorso i consumi interni hanno inciso per il 64,6%, gli investimenti per il 42,2% e l’export per il -6,8%”, ha detto Rossi. Il cambiamento dell’economia è evidente anche se si guardano i dati dell’interscambio: “Nel 2016 la Cina ha esportato nel mondo 2,98 mila miliardi di dollari, in calo del 7,7 rispetto al 2016. L’import è passato a 1.587miliardi con un calo del 5,5%”. La Cina punta sui consumi interni e sull’innovazione della manifattura, gli obbiettivi del piano Made in China 2025. Senza dimenticare che la Via della Seta è anche un modo per indirizzare la sovraccapacità produttiva, tipicamente per l’acciaio, verso nuovo mercati.
Milano per i cinesi è il cuore dell’innovazione tecnologica, del design e del lusso
Ciò detto, la performance dell’Italia è positiva e l’anno scorso ha ridotto il deficit commerciale nei confronti della Cina, che scende sotto i dieci miliardi di dollari, grazie a un aumento delle esportazioni (+4%) e una diminuzione dell’import (-3%) rispetto al 2015. Milano è per i cinesi il principale sbocco di riferimento sia come capoluogo lombardo, sia per l’interscambio sia per gli investimenti. “E’ il cuore dell’innovazione tecnologica, del design e del lusso”, ha concluso Rossi. “Come disse l’ex ambasciatore cinese in Italia Ding Wei, ‘Roma la capitale, Milano il capitale”.
Infografica – Linea ferroviaria Chongqing-Duisburg
Trieste, hub strategico per il trasporto ferroviario e navale
Trieste è una meta strategica per collegare treni e navi. L’Italia vuole offrire ai cinesi l’alternativa dei porti italiani, l’Alto Adriatico e l’Alto Tirreno, che il governo sta riqualificando. Soprattutto da quando, con il decreto attuativo del 27 giugno scorso, è diventata ufficialmente porto franco internazionale (cioè libero da dazi doganali o con regolamentazione dei tassi favorevoli) unico in Europa. Nella sfida delle nuove rotte internazionali il porto franco del Friuli-Venezia Giulia si sta posizionando bene: “I fondali profondi fino a 18 metri le consentono già di accogliere le navi provenienti dall’Asia”, ha ribadito Maffettone. E proprio con Duisburg, punto di approdo più utilizzato per lo scalo delle merci cinesi in partenza da Chongqing, Trieste ha firmato il 9 giugno scorso un accordo di cooperazione per lo sviluppo di aree logistiche intermodali.
Treni che trasportano soprattutto merci elettroniche di largo consumo
I treni merce che partono dalla Cina trasportano soprattutto prodotti elettronici e laptop, di cui Chongqing è leader mondiale (ne ha prodotti 55 milioni nel 2014, il 25% del totale), tessili e arredamento. Dalla Germania tornano carichi di componenti automobilistici e pezzi di ricambio, latte in polvere, cosmetici e birra. Il maggiore cliente tedeschi è la casa Ford; tra i cinesi spiccano Foxconn, la fabbrica di Shenzhen dove si producono gli iPhone, e il gigante dell’e-commerce Jd.com. “Stiamo trattando anche con Alibaba”, dice Li Bin. I container affollano il centro logistico di Chongqing, stazione di partenza dei treni merce, dove è situato il chilometro zero. L’area di carico e scarico delle merci non è accessibile, ma durante la visita al deposito il capo magazziniere ci spiega che “il 90% delle merci arrivate oggi sono state ordinate online”.
Infografica – investimenti cinesi, Italia piace
I dipendenti in uniforme arancione stanno stoccando pacchi pieni di una famosa marca tedesca di latte in polvere, Aptimil. Il traffico è in aumento: dal 2011 a oggi sono partiti e tornati oltre 1140 treni. Nel 2016 hanno viaggiato 432 treni, 279 in andata e 153 di ritorno 153. “Un gap che vogliamo riequilibrare”, ha detto Li Bin. I primi anni i treni dalla Germania alle volte non partivano perché erano vuoti: “I ritorni rappresentavano solo il 20% del totale, oggi puntiamo al 60%”, ha detto Li. “Cresce l’importazione di birra polacca e di vino francese e vogliamo promuovere anche i vini italiani”, un mercato che nel 2015 è cresciuto del 39%. Ma per Li gli squilibri commerciali dipendono anche dalle sanzioni europee contro la Russia.
La necessità di ridurre la dipendenza dalle rotte marittime
Secondo i dati statistici elaborati dalle dogane cinesi, i treni hanno trasportato 42mila TEU per un valore di oltre 18miliardi di yuan, registrando una crescita del 25% anni su anno. Si prevede che entro il 2017 il numero dei treni salirà a 500. Seppure in crescita, i numeri del trasporto ferroviario impallidiscono di fronte al valore delle spedizioni marittime. Secondo i dati del World Shipping Council relativi al 2013, ogni anno tra Asia ed Europa viaggiano via nave container per un valore stimato di oltre 20 milioni di TEU. Aumentare le connessioni ferroviarie con l’Europa è strategico per Pechino non solo per attrarre investimenti nelle remote province occidentali, ma anche per ridurre la dipendenza dalle vie del commercio marittime, principale canale per l’importazione di energia, in un’epoca in cui le acque del Mar Cinese Orientale e Meridionale sono agitate a causa della querelle su diverse isole contese.
La ferrovia è gestita da Yuxinou (Chongqing) Logistics Co., Ltd, compagnia logistica nata nel maggio del 2012 in joint venture tra gli enti cinesi Transport Holding Chongqing (CQCT) e China Railway International Multimodal Transport (CRIMT), la russa JSC Russian Railways Logistics, la tedesca Schenker China Ltd. E la kazaka JSC Kaztransservice. La compagnia ha adottato uno modello di sdoganamento unico, cioè le merci vengono sdaziate solo all’arrivo, e ciò ha consentito di “ridurre i costi del 50%”. Oggi “trasportiamo anche la posta” e per il futuro c’è l’ipotesi di “introdurre treni charter per gruppi turistici”.
Chongqing, uno snodo fondamentale sulla Via della Seta
Chongqing è uno degli snodi principali della Nuova Via della Seta. La città-provincia della Cina sudoccidentale cresce a due cifre (10,7 %) e con i suoi 30 milioni di abitanti si classifica al nono posto tra le regioni con il più alto tasso di urbanizzazione (+60,9%). Da quando nel 1997 Pechino l’ha slegata da Chengdu, capoluogo della provincia del Sichuan, il suo nuovo status amministrativo di municipalità (Zhixiashi, 直辖市) l’ha resa potente come una provincia. E ha rafforzato il controllo diretto di Pechino su una città storicamente strategica, dagli anni in cui fu capitale temporanea durante la seconda guerra mondiale grazie alla forte industria bellica, agli anni dell’ex leader Bo Xilai che la ripulì dai criminali e promosse politiche sociali a favore degli immigrati, dando via a un revival del maoismo che lo portò all’espulsione dal Partito e all’ergastolo nel 2012: il più grande scandalo politico degli ultimi venti anni.
Attraversata dal Fiume Azzurro (Yangtze) e dal suo affluente Jialing, è il maggiore porto fluviale cinese (Guoyan) collegato direttamente al Mar Cinese Orientale (Shanghai) e quindi alle rotte del Pacifico. Oltre a essere il capolinea di uno dei maggiori collegamenti ferroviari con l’Europa. E il governo cinese, che con la politica del “Go West” ha riversato massicci investimenti nelle zone più arretrate del Paese, l’ha scelta per guidare il risveglio dell’economia dell’entroterra, rimasta indietro rispetto alla crescita dei primi venti anni di riforma e apertura (gaige kaifang) a vantaggio delle province orientali. Riequilibrare l’est e l’ovest della Cina presuppone una maggiore apertura ai mercati internazionali. La risposta è la Nuova Via della Seta, che ha consolidato l’influenza di Chongqing nella proiezione globale di Pechino. Strade, ferrovie, porti, aerei: le merci affluiscono qui da molti canali.
E anche l’Italia rientra in questo disegno. In estate verrà firmato l’accordo per il parco industriale sino-italiano nel distretto di Liang Jiang (两江), punto nevralgico della nuova area pilota di libero scambio di Chongqing (Free Trade Zone, FTZ) inaugurata lo scorso aprile dal Consiglio di Stato e dove Pechino ha già annunciato un nuovo investimento di 80,2 miliardi di yuan (11,6 miliardi di dollari) per creare un nuovo polo manifatturiero e finanziario. Attraversando la città dove piove sempre, il taxi taglia la nebbia e ci lascia al civico 1 di Xingguang Dajie (重庆星光大街). Ci ritroviamo davanti a una specie di arco di trionfo: i gradini di marmo portano a un’enorme porta bianca sotto cui si erge la statua di un cavallo al galoppo, di colore rosso lacca. “Quello che vedete riprodotto è il carattere Chuang (闯), che significa “procedere con coraggio”, ci spiega Zheng Hang, vice direttore dell’ufficio di amministrazione del nuovo distretto, che ci accoglie in cima alla scalinata. L’ideogramma si compone di due radicali (microparticelle che costituiscono i caratteri): “men”, 门, porta, e “ma”, 马, cavallo. Finezze cinesi. Tutte le strade portano a Chongqing.
Trieste – Competitività nel trasporto intermodale, sviluppo delle Autostrade del Mare e finanziamenti europei a disposizione delle aziende sono stati i principali temi affrontati, alcune settimane fa, alla Stazione Marittima di Trieste al convegno “Motorways of the sea”. The maritime dimension of TEN-T network. Ports and Logistics Chain Innovation for Transport Connectivity”, organizzata da The MediTelegraph e On The Mos Way in cooperazione con la Regione Friuli Venezia Giulia e l’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Orientale – Porto di Trieste.
DBA Group di Villorba (TV) vi ha partecipato con relazioni di Matteo Apollonio e Sabina Pastore per illustrare gli sviluppi in corso come partner del progetto europeo CEF “e-Impact” in realizzazione presso il terminal EMT di Trieste oltre alle funzionalità messe a disposizione nella piattaforma di Port Communty System – PORTLine, un prodotto informatico della controllata Actual per la gestione integrata dei porti. PORTLine assicura l’ottimizzazione dei processi di gestione portuale, come sistema informatico che riesce a dare ordine, operatività ed efficienza ai molteplici attori che gravitano, transitano e escono da un porto. Il porto non è più considerato il perimetro chiuso e luogo di raccordo tra l’acqua e la terraferma, ma un complesso sistema con gangli nervosi a centinaia di chilometri di distanza per lo scambio di dati con i proprietari delle merci in arrivo, con treni e mezzi su gomma, chiatte e navi-container. “Mettere a disposizione degli utenti della filiera logistica che attraversa il porto un’unica finestra “single window” che permetta la simultanea gestione di tutti i processi portuali e il riutilizzo dei dati in ottica “once” è lo scopo di PORTLine”, ha detto Matteo Apollonio.
Altro prodotto specifico di monitoraggio è Ismael, è quello realizzato da Dba Group con il supporto dell’Autorità Portuale di Bari. Una dimostrazione del progetto Ismael è stata illustrata il 2 maggio al ministro degli Esteri Angelino Alfano in visita alla sede di Villorba del gruppo dei fratelli De Bettin. Il ministro Alfano ha espresso i complimenti all’azienda per gli investimenti in innovazione e ricerca e per la capacità di penetrazione nei mercati emergenti. A fine aprile DBA Group, ospite del Porto di Baku (Azerbaijan) ha partecipato alla Sedicesima “Caspian International Transport, Transit and Logistics Exhibition”. Dalla fine del 2016, Dba Group è partner del porto di Baku, snodo strategico sulla Via della Seta da Pechino a Tallin, e fornisce servizi di ingegneria e di architettura per il nuovo porto in Alat, e servizi per lo sviluppo di piattaforme telematiche di automazione dei processi portuali e logistici del nuovo porto. Dal 7 al 12 di maggio la Società ha partecipato in Indonesia alla 30° Conferenza dell’International Association of Ports and Harbors. Ultima tappa degli appuntamenti per trasporti e logistica la Fiera Transport Logistic di Monaco dal 9 al 12 Maggio.